Visualizzazione post con etichetta Poesie. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Poesie. Mostra tutti i post

giovedì 31 maggio 2018

SEMPLICITA' E PERFEZIONE ( 4 poesie)



Ho scoperto un poeta nuovo
È americano
E scrive di cose semplici
Piccoli oggetti
Sentimenti elementari
Quelli che tutti proviamo
Nudi senza fronzoli
La vita così com’è
Specchiata e a volte brulla
Un incantesimo di circostante
Che ci fanno sempre sperare il meglio
Che poi non arriva
Perchè già c’è
È nelle pieghe strette
Di quel dolore
Che vogliamo scacciare
Proprio come si scaccia una mosca

 E’ così che voglio scrivere
Nuda fino all’osso
Parole vere
Che evochino la tempesta
Che abbiamo attraversato
E il successivo approdo
In una baia calma
Sempre lo stesso mare
Cambia solo il colore.
 

Forse volevo altro
Più amore
Più figli
Più soldi
Ma a pensarci bene
Ho fatto un lavoro
Da certosino
Cercando di eliminare
Il superfluo
Pura essenza
Solo quello che c’è
Solo quello che conta
La nudità scarna
Della perfezione

                                                                     
Mi emozionano
Le scoperte improvvise
Quei guizzi che ti lasciano muta
Sospensione di spazio
E di tempo
Assoluta presenza
Mentre accade il miracolo
Che era sotto i tuoi occhi

Poche cose
Valigie leggere
Per non portare pesi
Le solite tele bianche
Sdrucite dall’uso
Ma preziose di tempo
E di viaggi
Per coprirsi le spalle
Di sera
Al vento che profuma
D’origano e mirto
Itaca non l’ho dimenticata

mercoledì 29 novembre 2017

LA POESIA HA BISOGNO DI AMICI



La poesia ha bisogno di amici. L’amicizia è il nutrimento che la fa fiorire. Altrimenti resterebbe una terra secca e sterile che produce fiori e frutti senza forza, destinati subito ad appassire, a marcire.


Per anni ho scritto poesie in solitudine. Le leggevo e rileggevo, senza trovare il coraggio di condividerle e di espormi, anche ad eventuali critiche. E le mie poesie restavano lì, in fogli accatastati, come foglie secche, senza linfa. Un campionario di cose morte.

Poi, proprio 10 anni fa Lena, la mia amica svedese,  mi ha proposto di leggere le mie poesie a un gruppo di amiche che facevano parte della FIDAPA. Una cosa semplice, mi aveva promesso, senza nessuna cerimonia. Avevo preparato alcune poesie, poche, e le avevo messe in una cartellina, accanto a qualche racconto autobiografico. Quella sera, ricordo, ero appena uscita dal lavoro e non avevo avuto il tempo di cambiarmi. Indossavo un paio di jeans e una maglia. Ed ero, come al solito spettinata. Ho trovato, nella sala ricevimenti di un noto ristorante sul mare, una folla di persone eleganti che mi stava aspettando, e un ricco buffet. Io non avevo mai parlato a un pubblico così vasto e tanto meno letto le mie poesie. Ero quasi paralizzata. E anche un po’ arrabbiata con la mia amica, che mi aveva teso quel trabocchetto, a fin di bene. Mi aveva stanata. Mi aveva costretta a rivelarmi, a tirare fuori la voce, a espormi. E continuava a sorridermi e a dirmi vedrai, andrà tutto bene.  Ed è avvenuto un piccolo miracolo. Ho iniziato a leggere le mie poesie. E poi i racconti. Mai avevo sentito nella mia vita un silenzio e un’attenzione  così densi, così vibranti, così intensi. Avevo chiesto di non applaudire fra una poesia e l’altra, per non rompere quell’incanto. E mentre leggevo, mi sentivo quasi fuori dal corpo. Emozionata ma presente, emozionata ma anche temeraria, emozionata ma anche curiosa. Sarei riuscita ad arrivare al cuore di tutte quelle persone venute lì apposta per sentire le poesie di una sconosciuta, che ancora nessuno osava definire una poetessa? Gli applausi alla fine, le strette di mano, gli occhi lucidi, i ringraziamenti, la commozione che si sentiva, palpabile, sono stati la risposta. E grazie a Lena, che mi aveva presa per mano, e mi aveva tranquillizzata con il suo sguardo azzurro e benevolo, da quel giorno non mi sono più fermata. Tre anni dopo ho pubblicato il mio primo libro di poesie “Ofelia non c’è più”.
E a sostenermi, incoraggiarmi e presentarmi, nell’Aula Magna del Liceo, gremita di gente, soprattutto giovani, questa volta c’era un amico, Armando Cittarelli, anche lui Poeta. Che con le sue domande, a volte provocatorie, ma sempre tese a capire, ad approfondire, mi ha costretta ad andare ancora più in profondità e a svelarmi. Perchè questo fa la poesia, ci svela agli altri e a noi stessi, riesce in anticipo a cogliere emozioni, suggestioni, rivelazioni, che una volta portate alla luce, ci cambiano per sempre, rendendoci più autentici e più forti. E nel corso degli anni io e Armando ci siamo incontrati, abbiamo parlato di poesia, ci siamo scambiati i nostri versi, ci siamo incoraggiati vicendevolmente, sentendoci forse meno soli. E a chi avrei potuto chiedere di scrivere la prefazione del mio nuovo libro “La memoria dell’acqua” se non a lui? A lui e a un altro amico Poeta, Vincenzo Loriga, novantasettenne pieno di vita e di creatività, che ogni tanto vado a trovare a Roma nella casa sui tetti dove vive con la sua compagna Paola Mazzetti e la sua gemella Lorenza.Una casa di giovani artisti, senza età. Perché questo fa l’arte. Ci mantiene giovani, vibranti, curiosi, appassionati e un po’ incoscienti forse. Senza troppa paura del tempo che passa.
E quindi il mio nuovo libro ha due prefazioni, di due poeti che amo e che generosamente mi hanno sostenuta.
Ma non posso certo dimenticare gli autori delle illustrazioni delle copertine dei miei libri. Anche loro miei amici: Il pittore Giuseppe Modica con “La stanza del marinaio” che tanto bene rappresenta la malìa del viaggio, dentro e fuori di sé. E la pittrice Germana Galdi con “Chili y chocolate” a ricordare il dolce-piccante, a volte amaro, dell’avventura e della vita.



Un ringraziamento va anche alle amiche e agli amici, che mi hanno ascoltata leggere i miei versi a cene, compleanni e presentazioni. E a Annamaria e Marco, Marta, Maria Nella e Anna che mi hanno presentata in alcune occasioni. Ringrazio tutti per l'attenzione, la pazienza, la partecipazione, l'affetto. 

E ringrazio la comunità di scrittori di LIBERODISCRIVERE che attraverso un proficuo laboratorio di scrittura mi ha spronata a scrivere, a confrontarmi, a leggere ed ascoltare altre voci. Grazie ad Anna Fabiano, a Silvia, a Maria, a Iole, a Pierpaolo che, come un fratello, mi ha accolta  nella sua  Sardegna  e ha scritto la prefazione al mio primo libro di poesie. E grazie a quegli anni così fertili e così generosi.

E infine ringrazio mia figlia Olivia perchè la poesia è sempre stata un potente strumento di comunicazione e di vicinanza fra noi. E io mi commuovo nel vederla ogni volta commuoversi. E la ringrazio perchè il mio amore per lei e la nostra piccola famiglia hanno ispirato molte delle mie poesie.

Ma se vado a ritroso non posso non ringraziare chi non c’è più: mio nonno Aldo che ha sempre scritto poesie, e me le regalava mettendomele sotto il piatto; mio padre che leggeva ai suoi amici le mie prime poesie e filastrocche, orgoglioso come solo un padre può esserlo; mia madre che amava la musica e mi ha fatto amare la lettura. E io mi incantavo al suono della sua voce.

La voce di mia madre per me era Poesia.

domenica 19 novembre 2017

LA MEMORIA DELL'ACQUA (Il mio nuovo libro di poesie)




Scrivere per esprimersi, per consolarsi, per condividere, per lasciare tracce, per perdonare, per perdonarsi, per ricordare, per lasciare andare, per fare ordine, per dare un senso, per trovare la voce, per dare voce, per gridare, per sussurrare, per salvare, per salvarsi, per svelarsi, per fare spazio, per onorare, per ringraziare, per ispirarsi, per denunciare, per dichiarare, per sperimentare, per raccontare, per pacificare, per liberare, per liberarsi, per accogliere, per vivere.


E’ uscita la mia raccolta di poesie dal titolo “La memoria dell’acqua”, pubblicata dalla casa Editrice Robin e distribuita dalle Messaggerie Libri, a sette anni dalla raccolta “ Ofelia non c’è più”, pubblicata dall’ Editore Lietocolle. Fra un libro e l’altro sono successe tante cose e scrivere è diventato per me sempre più un bisogno primario, è parte del mio nutrimento, della mia sussistenza, della mia vita quotidiana. Il libro è corposo, più di 100 poesie, perchè questi anni sono stati intensi, intensi e dolorosi, con sprazzi di felicità e momenti di gioia. “La vita così com’è, nel suo doloroso splendore”, come è scritto nella quarta di copertina. E ho fatto la scelta, a differenza del libro precedente, composto solo da 36 poesie, di organizzare la raccolta in sezioni, quasi fossero delle opere a sé. Ma a ben guardare, fra una sezione e l’altra ci sono rimandi, richiami, in un flusso a mio parere coerente, che mi racconta, senza etichettarmi, ma rivelando l’impermanenza e lo scorrere delle emozioni e degli avvenimenti. Una scrittura poetica autobiografica? In parte lo è, certamente, ma non vorrei che l’aspetto autobiografico diventasse una gabbia. Tutt’al più la trama leggera, la traccia, il filo conduttore che permette alla poesia di farsi spazio, soprattutto nelle azioni minute, nei ricordi nudi, nelle suggestioni. La sezione “Il posto fisso” è quella, a mio avviso, più asciutta, senza fronzoli. La realtà di un lavoro ormai non più amato, spiazzante, noiosa, a volte intrisa di dolore, alla ricerca di un senso che spesso si fa  fatica a trovare. Eppure all’interno di quella realtà, con sguardo attento si possono trovare spunti di tenerezza, di amicizia, di benevolenza, piccoli semi di gioia da proteggere con delicatezza, per farli magari fiorire in ambienti meno aspri e più favorevoli.

Pubblicare un libro è sempre una gioia. Tenerlo fra le mani, sfogliarlo, guardarlo con amore. A partire dalla bellissima copertina, opera della pittrice Germana Galdi,  che secondo me, nella minuziosa e vibrante luminosità del suo acquerello dal titolo “Chili y chocolate” esprime a meraviglia l’intento della mia poesia. La vita, così com’è, nel suo semplice, doloroso e luminoso splendore. E spero che i lettori possano trovare all’interno del mio libro appena nato almeno un po’ di quella luce.

martedì 20 giugno 2017

DOPO LA NOTTE (due poesie)






Dopo il vagare della notte

In voli siderali

Di cui resta un vago sapore

È inutile cercare di ricordare il sogno

Lui è ancora lì

Nella spossatezza

Che ci tiene

E ci vorrebbe acciambellati

Nel letto

Come gatti

Oppure far finta di dimenticare
Entrando a testa alta
Nella mischia delle ore

Quel tempo eterno

Senza orologi

Che abbiamo attraversato

Con il corpo pesante abbandonato

E la mente leggera che volava

Si è rappreso

Come sostanza nuova

Che ora ci appartiene

E siamo più ricchi ora

E più sapienti

Con un vapore dentro

Screziato d’oro

Che scolora









Il filo della notte

Tiene ancora cucite le mia ciglia

Solo squarci di luce

Come pozze

E il caldo della pelle

Dopo il sonno

Quasi a rabbrividire

Pian piano mi riportano

Nel giorno

Ma i passi sono lenti

Come di vecchia stanca

E la testa è ovattata di bianco

Uno stupore di domanda

Blanda

Dove sono?

Ripasso i gesti

Uno a uno

E abbraccio uno schedario

Di consuetudini

Come volume antico

E polveroso

Si tratta di ricomporre

Le parole strascicate

Che vengono alla mente

E accarezzarle lente

Grata dell’alfabeto

Che riappare luminoso



Ogni mattina imparo

Il gioco del mondo

















































                                                            

venerdì 7 aprile 2017

ALLE DONNE DELL'EST CHE ACCUDISCONO I NOSTRI VECCHI (dalla raccolta "Ofelia non c'è più)









  

  Di zigomi ridenti

e chiacchierate allegre

sempre di bianco

soprattutto nylon
per sembrare seta

a ingannare miseria
come regine

cariche di fagotti

in mercanzia


piccole croci d’oro

e orecchini finti di perle
vero lo sguardo puro

bionde di taglio strano
fatto in casa fra amiche



tacchi sbilenchi
e zattere azzurre

per galleggiare meglio
su asfalto straniero



badanti (parola nuova)
di smemorati persi

di gambe e di pensiero
che accudite con mani

gentili rassegnate
di unghie dipinte male

scorticate dall’acqua
che passa sotto i ponti

tanta e mai stanca
e passeggiate per mano

come bambini grati



figli lontani

scoloriti nel tempo

e nella faccia


amanti nuovi di zecca

coloriti di vodka e di vino
robusti teneri di paura

sulla metro che porta
ai mercati dei poveri

in domeniche libere (ma quanto?)

di Babele senza torri.




martedì 28 marzo 2017

NON SONO UNA SIGNORA







 Qualcuno pensa che io sia distratta
sì a volte lo sono
ma spesso la miopia mi confonde
e l’udito con gli anni è un po’ calato
allora rispondo in ritardo
o non riconosco la gente
che mi saluta per strada
scusate

qualcuno pensa
che io sia altera e un po’ snob
sarà per l’aspetto
le alte hanno quest’aria severa
che un poco confonde

qualcuno pensa che io sia troppo freak
 sempre coi jeans e mai con le gonne
 sciarpe a proteggermi il viso
 semi-nascosto dai capelli ribelli

 sì non sono una signora
 non lo sono ancora
 sarà timidezza
e  a volte vergogna
 per cose accadute
 che ancora mi bruciano un po'

ma non è colpa mia
  se ho vagato per case
continenti e paesi
a volte la terra mi manca
e questa città che io amo tanto
e ho voluto per sempre
nella buona e nella cattiva sorte
spesso mi tratta come straniera
anche se ho scelto la casa più in alto
e apro finestre e porte
per accogliere chi vuole respirare
la luce di tramonti infuocati

qualcuno pensa che io sia strana
sì lo sono
ho intrecciato collane
greche e messicane
ho partorito sulle Ande
ho amato solo artisti e stranieri
ho fatto lavori strani
ho cavalcato la paura
cercando di domarla
con la frusta del coraggio

non è un vanto
è stato così
questa è la mia natura
esplorare l'abisso
non accontentarmi
anche se il mio lavoro
quello principale
è la fune che mi tiene
apparentemente legata
forse il contrappasso

ma io scivolo fra i nodi
e mi riprendo la libertà negata
in tutti quei modi
gli infiniti modi
che la vita mi regala.






               


                                                                     
                                                                        
                                                                         
                                                                      
                                                                      
                                                                      
                                                   
                                                                     

                                                  

giovedì 16 febbraio 2017

ANNIVERSARIO









Gli anniversari
Sono a volte
La conta maldestra 
Del dolore
La zavorra
Che ci carichiamo
In pietre
Per scendere più giù
Nell’illusione
Che il fondo poi diventi
Trampolino
Per la spinta
Che ci solleverà
Verso la luce

Ma è il corpo che ricorda
Non la mente
È l’angolazione dei riverberi
A quell’ora
Il canto degli uccelli
Solo quelli
La mattina
Quell’incanto d’inverno
Che si avvia alla fine
I nodi delle gemme
Che spingono cortecce
L’aria più gonfia
E le albe più radiose
Come di specchio
Che riflette
Solo meraviglie

Non c’è inganno
Il giorno e l’attimo
Precisi
Si manifestano
Nei pori
E non dobbiamo fare altro
Che aspettare gli anni
Se mai sarà
Perché quel giorno
Sia un giorno come tanti
Solo un brivido al mattino
Fuggitivo
E tutto si svolgerà
Nella normalità
Del  tempo
Che forse non esiste