giovedì 12 marzo 2020

CERCARE IL BELLO


Sono caduta, inciampata in una catena, le catene non mi piacciono, nessuna, per questo forse sono inciampata, perché la costrizione mi rende confusa, smarrita, incerta, anche nei passi. Vuol dire che devo rallentare ed essere ancora più presente e consapevole, in questo momento così diverso da tutti gli altri, quasi come  un film dal  finale aperto e dall'esito incerto. L'unica cosa sicura è che ogni attimo è prezioso e non va perso, nessuno, ci dobbiamo passare dentro, con i sensi vigili, attenti, rallentati, perché in questo momento non abbiamo bisogno di correre, anzi: fare tutto con quella lentezza alla quale non siamo più abituati ci può aprire scenari nuovi, più significativi, nei quali finalmente non diamo più le cose per acquisite, scontate, crogiolandoci nella nostra routine compulsiva, ma pur sempre rassicurante. La routine adesso ce la dobbiamo reinventare, tornando ai gesti semplici, essenziali, al silenzio, alla solitudine, allo spazio, anche quello temporale, da non riempire a tutti i costi, in un troppo pieno che può portare solo ansia e stress. Adesso abbiamo paura, ma non dobbiamo temerla e non è un gioco di parole. Entriamoci dentro, esploriamola questa paura e quando l'avremo guardata in faccia, sentendo nel corpo le tensioni, il respiro contratto, il batticuore, potremo renderci conto che la nostra vulnerabilità, se accettata e consapevolizzata, ci potrà portare a quel rispetto delle regole, a quel senso di umanità e di comunità, che, nel delirio di onnipotenza, avevamo dimenticato. Possiamo uscire da questa esperienza sicuramente migliori, con uno sguardo più attento alle cose che veramente contano, ai valori che avevamo tralasciato e alla natura, della quale, adesso più che mai, dobbiamo prenderci cura, diventando generosi e attenti come quelle migliaia di infermieri, di medici e di volontari che si stanno prendendo cura di noi e che non riusciremo a ringraziare mai abbastanza. Ecco, sarà forse proprio questa gratitudine, a renderci tutti persone migliori.

Cercare il bello
Stanarlo con il cuore
Lì dove si nasconde
E chiede solo
Di essere trovato

Cercarlo nelle briciole minute
Nell'aria azzurra
Di isole sul fondo
E nella piazza lucida
Di marmo

Fare attenzione
Al minimo rumore
Che dal silenzio si rivela
Come musica incompiuta

Tornare ai gesti
Del pane e la minestra
Da preparare calmi
Sentendone il profumo

Dimenticare la fretta
Quella che  ci sbrana
Come cane addestrato
Alla ferocia

Riprenderci l'attesa
Fatta di pause salutari
E del semplice guardare
Oltre la finestra il mare aperto

Abbracciare la paura
Che ci chiede ascolto
E respirare insieme a lei
Grati semplicemente
Di questo respirare


E ritrovare finalmente
Le parole gentili
Che ci rendono fratelli.











sabato 25 gennaio 2020

LAVORARE CON GIOIA


È più di un mese ormai che non vado in ufficio. L'ultimo giorno, dopo aver pulito la scrivania, controllato i cassetti, dato uno sguardo alle stanze spoglie che mi hanno accolto in una triste quarantena, quasi un esilio, in questo ultimo anno di lavoro, ho pianto. 
Ero rimasta qualche minuto in più per concedermi questo lusso, perché piangere è un lusso che ogni tanto ci dobbiamo concedere. Ed è iniziata la mia vita da pensionata. Non sei contenta? Mi chiedono in molti. Certo, adesso sono libera, il tempo è tutto mio, e posso dedicarmi alla mia famiglia, ai miei interessi, e fare tardi la notte guardando vecchi film.
Ma non pensavo che nei sogni, una volta chiuso questo capitolo doloroso, si sarebbe riaffacciato così prepotente il senso di ingiustizia, di frustrazione, di rimpianto. E ho sognato stanze immense in cui vagavo e mi sentivo estranea, fuori posto, con i colleghi che mi chiedevano: che ci fai tu qui? E un senso di desolazione, di inutilità di spreco a fare da colonna sonora a una scena grigia e algida, senza colori, senza vita. Ma stanotte nel mio sogno osavo di più: prendevo per le spalle uno dei presunti colpevoli di tutta questa desolazione e gli chiedevo: Perché?  Argomentando in maniera certosina tutte  le ingiustizie, gli sgarbi, la trascuratezza, la mancata empatia, il vuoto, la solitudine di questi ultimi 10 anni. Perché per fortuna di anni buoni ce ne sono stati. Ma lui non mi rispondeva, biascicava qualche scusa banale, arrampicandosi sugli specchi. E poi via via sono comparse altre colleghe dal volto sconosciuto, gentili, empatiche che mi dicevano : 'È successo anche a me'. Ma non è bastato ad alleggerire il groppo che mi sentivo nel petto, pesante, così pesante che per fortuna mi ha fatto svegliare. È stato un sogno, solo un sogno, spero uno degli ultimi per spurgare e mitigare gli effetti di una ingiustizia mal digerita. Un'ultima considerazione: sarebbe bello, veramente, se i dipendenti comunali potessero essere valorizzati, incentivati, riconosciuti, gratificati in base alle capacità, alle attitudini, al merito. Invece questo non accade. Per una serie di motivi. Ed è un peccato. La mia città potrebbe funzionare meglio, molto meglio se le persone fossero messe in grado di lavorare in squadra, motivate e sostenute dai loro superiori. Superiori non costretti a piegarsi alle richieste dei politici  che spesso, a parte rare eccezioni, non hanno neanche l'idea di cosa voglia dire amministrare. E non è valido, almeno per me, il proverbio 'mal comune  mezzo gaudio'. I have a dream: che si possa lavorare con gioia e soddisfazione. É un augurio che faccio ai miei ex colleghi e alla prossima Amministrazione.