lunedì 15 agosto 2016

ESPRESSO SALONICCO (dalla raccolta "BAMBINE")



Settembre 1992.


La bambina ha appena compiuto 10 anni.

E’ abbronzantissima, sembra quasi una zingarella, con quei capelli spettinati e i denti bianchi.

Siamo cariche di bagagli: zaini, sacchi a pelo e una grande busta con regali e giocattoli. Perfino una palla. L’espresso Salonicco-Venezia è affollatissimo. Il nostro scompartimento ha sei cuccette che tireremo giù per la notte. Gli altri viaggiatori, due ragazze e due ragazzi, sono norvegesi. C’è un’afa insopportabile, ci siamo portate solo una bottiglia d’acqua, per il mangiare andremo nel vagone ristorante.  
Il treno parte.
A Skopie salgono parecchie persone che non hanno prenotato e si sistemano alla meglio per i corridoi. Il capotreno fa salire tutti.

I bagni sono intasati, manca l’acqua e dopo un po’ si spande per l’aria un odore acre di latrina.

La bambina non si annoia. Guarda fuori dal finestrino con occhi incantati, poi si mette a disegnare con grossi pennarelli colorati, appoggiata sul ripiano estraibile. In questo periodo disegna soprattutto principesse e fate con lunghi veli azzurri e cavalli sghembi dalle zampe rettangolari. I colori sono vividi, brillanti, fanno allegria.

Proviamo ad andare nel vagone ristorante. Bisogna percorrere tutto il treno. Man mano che camminiamo, i vagoni cambiano fisionomia: tappezzeria damascata bordeaux e tendine di pizzo ai finestrini. E uomini con strani copricapo, che rassomigliano a dei fez. Sembra quasi il carrozzone di un circo. Nell’aria c’è una fitta coltre di fumo. Ma abbiamo fame e continuiamo a camminare facendoci spazio fra sporte di paglia, bambini addormentati, madri con lunghe gonne colorate e denti d’oro luccicanti. Il vagone ristorante è molto affollato. Non c’è nemmeno una donna. Appena entriamo il brusio si interrompe per un attimo e tutti ci guardano. Nessuno parla inglese e io nel mio greco approssimativo riesco a ordinare una specie di zuppa di cavolo, bollente, che ci fa sudare ancora di più. Mentre sto pagando, con la coda dell’occhio vedo che un uomo anziano si è messo la bambina sulle ginocchia e le sta parlando in una lingua dal suono dolce, quasi una cantilena. Mi avvicino, lei mi guarda preoccupata, sorrido e la prendo per mano, poi saluto e ce ne andiamo. Mi tremano le gambe. Forse quel signore voleva solo essere gentile.

Il treno si ferma di continuo in piccole stazioni di campagna.

Il paesaggio è dolce, collinare, con piccole chiese dai campanili aguzzi.

Sta scendendo la sera. Nell’aria c’è una cappa pesante di umidità che ci fa sentire sporche a appiccicose. Il bagno è sempre più impraticabile. L’acqua è finita. La bambina ha di nuovo fame. E io anche.

Ripenso con nostalgia al mare trasparente dell’isola e gli alberi fin sulla spiaggia e per un attimo provo una sorta di refrigerio. Cinque settimane volate via, come in un soffio. E’ stata una bella vacanza.

La bambina sta giocando a scopa con una delle ragazze norvegesi, vedo che gesticolano e ridono, non so proprio in che maniera misteriosa sia riuscita a insegnarle le regole del gioco.

Entriamo lentamente nella stazione di Belgrado. Mi viene un’idea: scenderò a cercare acqua, panini e frutta, c’è tempo, il treno si ferma per mezz’ora. Riesco a comprare tutto in un chiosco azzurro e spendo le ultime dracme.

Quando torno al binario il treno non c’è più. Batticuore. Quasi mi manca il respiro.

Ritorno indietro per vedere se ho sbagliato binario, no, è quello giusto, cerco di mantenere la calma, non ho più un soldo, neanche i documenti, ho lasciato tutto sul treno. Soprattutto mia figlia. Mi metto a piangere. Sulla pensilina vedo un uomo in divisa. Fra le lacrime cerco di spiegargli in inglese quello che è successo. Lui scuote la testa, non capisce. Allora gli parlo in greco, mai sono stata così orgogliosa di parlare una lingua straniera. Lui mi sorride e mi risponde sempre in greco: “Binario 9.” Il treno si è spostato per riparare un piccolo guasto alla locomotiva. Lo ringrazio mille volte, gli butto un bacio con la mano e mi metto a correre. Arrivo esausta, il cuore in gola, le gambe che quasi non mi reggono. Il treno è lì, mancano pochi minuti alla partenza. Salgo trafelata. La bambina sta ancora giocando a scopa e mi dice sorridendo: “Mamma, ho scoperto che Babbo Natale abita in Lapponia, me l’ha detto questa signorina.” E mi indica la ragazza norvegese .

 “Brava, tesoro, ma adesso la mamma cerca di riposare perché è un po’ stanca”.

Poi chiudo gli occhi e non sento più la puzza, la stanchezza e il caldo

Sono felice.

Non mi manca niente.

Su questo treno c’è tutto quello che mi serve.





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