domenica 4 settembre 2016

PARLA PIANO...LA BAMBINA DORME (dalla raccolta "BAMBINE")




Erano uscite senza ombrello.
Il vento si era placato e dal cielo cominciava a scendere una pioggia fitta e fastidiosa.

La bambina indossava il cappotto nuovo di panno rosso e il cappellino di lana a rombi comprati pochi giorni prima ai Magazzini La Fayette a Nizza. La mamma si stringeva infreddolita alla gola il colletto di finta pelliccia del soprabito cammello, ormai sbiadito e frusto.

Arrivate al molo furono costrette dagli spruzzi a tornare indietro, sul viale di palme. La gente si affrettava a fare gli ultimi regali prima della chiusura dei negozi.


“Che facciamo stasera?”
“Resteremo in albergo, ho promesso alla Signora Lovati di darle una mano in cucina, sai, con tutti quegli ospiti…” La mamma aveva lo sguardo triste.

“Fa niente, resterò con papà a giocare a tombola”.

Nella hall trovarono il papà che, sprofondato in un divano di velluto verde,  leggeva un libro poliziesco. Indossava il completo principe di Galles, si era appena rasato e aveva un buon profumo di dopobarba. Il papà era sempre elegante e curato, sembrava un attore, e la bambina lo guardava con ammirazione e devozione sconfinate. Lui era il suo re.

Gli altri clienti erano quasi tutti nella sala a scambiarsi gli auguri, in un cicaleccio di convenevoli e saluti. La Signora Pontremoli portava un delizioso cappellino di velluto bordeaux con la veletta sollevata sugli occhi.

“ Com’è bella!- pensò la bambina- Da grande voglio essere come lei. Bella e ricca”.

 Il Signor Pontremoli era molto più anziano della moglie, piccolo di statura e con un grande naso aquilino che spiccava sulla sua faccia pallida e scavata. Ma era gentile e anche lui profumava, come il papà, di buon dopobarba. Faceva il commerciante di tappeti ed aveva accumulato, così si diceva, una fortuna di miliardi subito dopo la guerra.

I tavoli erano stati apparecchiati con particolare cura e la signora Lovati, aiutata da suo figlio Giuseppe, si affannava negli ultimi preparativi. In fondo alla sala da pranzo, vicino al pianoforte a coda, lucido e imponente, era stato sistemato un grande albero di Natale, addobbato con palline argentate e luci intermittenti. Sulla punta una cometa di brillantini luccicanti. La bambina ricordò il piccolo albero di Natale della casa sull’isola, finto e modesto, ma secondo lei il più bello del mondo, e per un attimo sentì un dolore strano, come una spina conficcata in un punto preciso della gola.
Era il secondo Natale che passavano lontani dall’isola. Non le avevano detto niente del trasloco in continente, semplicemente non erano più tornati a casa dopo le vacanze estive e lei non aveva più rivisto la sua scuola, le sue amiche, la sua maestra, i suoi giocattoli. Dopo un mese erano arrivate un paio di casse di legno con qualche libro, la biancheria, i piatti, ma il resto era stato venduto o regalato. Da allora non avevano più avuto una casa ed erano stati ospitati un po’ dai nonni al nord, un po’ dalla zia al mare, e la vita era diventata all’improvviso cupa e triste, proprio come la faccia della mamma. Nel frattempo aveva dovuto cambiare scuola due volte e di fronte alla possibilità di un terzo cambiamento aveva cominciato a piangere e disperarsi, non voleva più andarsene da lì, dal paese al mare del papà, dove ormai si era fatta delle amiche e aveva cominciato ad ambientarsi. Piuttosto sarebbe andata in collegio dalle suore, almeno avrebbe potuto continuare la scuola fino alla fine dell’anno, così aveva detto fra i singhiozzi. A malincuore, stupiti dalla sua rabbia e preoccupati dalle sue lacrime, la mamma e il papà avevano deciso di lasciarla lì in collegio ed erano partiti per il nord, dove il papà aveva trovato un nuovo lavoro, così le avevano raccontato.

Era arrivato Dicembre. Faceva molto freddo, in collegio non c’era riscaldamento e lei era poco vestita, ormai il cappotto le andava corto e stretto e le servivano un paio di scarpe invernali, di un numero più grande.

Erano venuti a prenderla  di notte, in macchina,  per le vacanze di Natale. Lei si era sdraiata sul sedile posteriore con un plaid sulle gambe e subito si era addormentata.

Avevano viaggiato per ore e ore, senza fermarsi mai.

All’alba erano arrivati a Genova. Avevano fatto colazione in un auto-grill sull’autostrada: cappuccino e cornetti caldi.

“Andiamo in Francia, ti va?” le aveva chiesto il papà con un sorriso dolcissimo. Aveva la faccia stanca e la barba lunga. La mamma era andata in bagno a darsi una sistemata e dopo aveva i capelli più in ordine e un rossetto rosa, che un po’ stonava con i suoi vestiti stropicciati.

Intanto era spuntato il sole.

Arrivarono a Nizza in tarda mattinata. Alloggiarono in un piccolo hotel nella città vecchia.

A cena in un ristorante tipico il papà le aveva regalato un mazzetto di viole, e lei col suo cappotto rosso di panno e il basco scozzese comprati nel pomeriggio, si era sentita una principessa.

Dopo due giorni erano tornati in Italia in un piccolo paese sulla Riviera dove il papà e la mamma avevano fatto amicizia con i proprietari di un albergo.

“Vedrai, ti piaceranno” le avevano detto.

E adesso erano lì a festeggiare il Natale.



“La mamma dov’è?”- chiese la bambina.

“E’ in cucina a dare una mano. Penso che ne avrà per tutta la serata. Rimarremo soli io e te, ti dispiace?”

Lei rispose impacciata :

“Un po’, ma non fa niente, non ti preoccupare.”

La cena era buonissima, c’erano anche le uova con la maionese uguali a quelle che faceva la mamma, e il vitel tonnè con i capperi.

Il Signor Pontremoli le sorrise dal tavolo vicino. Rassomigliava a un pellicano, ma le era simpatico e chissà perché le faceva un po’ di  tristezza. Al momento del brindisi la mamma venne al tavolo, tutta spettinata e con le guance rosse.

“Mi fermo solo un attimo, devo tornare a lavare i piatti. Era buona la cena? L’ho preparata io.” disse tutta di un fiato, pulendosi le mani sul grembiule a righe bianche e rosse.

Qualcuno stava strimpellando al piano una musica triste e alcune coppie avevano cominciato a ballare. Anche i Pontremoli. La Signora si era tolta il cappellino, aveva i capelli corti e ricci, e sembrava felice abbracciata al suo pellicano.

“Buon Natale -disse improvvisamente la mamma alla bambina, prendendo qualcosa dalla grande tasca sul grembiule-  tieni, è da parte di Babbo Natale. Stavolta è andata così, ma ti giuro che il prossimo anno, nella casa nuova, saremo di nuovo tutti insieme e ci saranno tantissimi regali.”

Era commossa mentre parlava, commossa e imbarazzata. Sembrava che stesse dicendo una bugia, così pensò la bambina: ogni volta che parlavano della casa nuova i suoi genitori sembravano attori che non hanno imparato bene la parte, goffi e impacciati, e poco convinti di quello che stanno dicendo.

Il pacchetto era rosso, con un fiocco dorato e dei piccoli fiori di carta velina incollati sopra. La bambina lo aprì, curiosa: era un libro di una scrittrice americana. Si intitolava “Un albero cresce a Brooklyn”.

“Vedrai, ti piacerà, è la storia di una bambina come te che, dopo molte peripezie, riesce a realizzare il suo sogno di diventare scrittrice.”

Che strano, appena un paio di anni prima, nella casa sull’isola, lei aspettava emozionata che Babbo Natale arrivasse furtivamente di notte a portarle i regali. Li trovava la mattina dopo sparsi  alla rinfusa ai piedi dell’albero, e veramente non c’era gioia più grande che scartarli uno a uno e allinearli per vedere quale fosse il più bello: la bambola africana o la vestaglia ricamata? I mobili da giardino in miniatura o il libro di avventure? Bei momenti. Anzi meravigliosi. Ma adesso era tutto finito. Lei era cresciuta e non credeva più a Babbo Natale.  E forse, proprio per questo, tutto era diventato grigio e triste.

Rientrarono in camera all’una passata, dopo il panettone, un ultimo brindisi chiassoso e due giri di tombola. I Pontremoli erano andati insieme ad altre due coppie alla messa di mezzanotte e ancora non erano tornati.

La bambina si mise il pigiama quasi a occhi chiusi, poi si accucciò sotto le coperte e prima di crollare in un sonno profondo sentì la mamma e il papà che sottovoce  facevano strani discorsi:

”Allora cara, domani torniamo al Casinò, stavolta andrà bene, vedrai, il sistema è sicuro, ci farà vincere un sacco di soldi, così potremo estinguere il debito con quelle sanguisughe dei Lovati e pagare l’albergo.”

“Speriamo, perché non ce la faccio più ad andare avanti così, sapessi come mi ha trattato quella strega in cucina, sembrava ci provasse gusto a vedermi sgobbare come una schiava. Basta, davvero, dobbiamo a tutti i costi riavere una casa e stare di nuovo insieme, noi tre…..

“Sss…..parla  piano… la bambina dorme…”

La bambina sospirò e borbottò qualcosa. Stava sognando che la Signora Pontremoli ballava abbracciata con il papà.

Lui era vestito tutto di rosso. Da Babbo Natale.

E dietro la barba riccioluta gli ridevano gli occhi.




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