mercoledì 9 settembre 2015

AZZURRO NOTTE (dalla raccolta "BAMBINE")



In quella stanza di quella casa, che era una vera casa, con dentro una vera famiglia, lei si svegliò con un acuto mal di denti. Le avevano sistemato una  brandina ai piedi del letto dei Cacciapuoti. Guido dormiva su un materasso per terra. Lo dovette scavalcare, piano, per andare in bagno. La lampadina era molto fioca. Salì su uno sgabello e si mise a bocca spalancata davanti allo specchio. Non riusciva a vedere quasi niente, solo una piccola macchia scura al posto del premolare. Il dolore era aumentato. Ora era pulsante. La guancia era leggermente gonfia. Il pendolo fece due rintocchi. Dalla stanza da letto sentiva il respiro tranquillo della Signora Mara mentre il marito russava a ondate intermittenti, intervallate da sibili e fischi. Non sapeva che fare. Andò in salotto e si sedette su una poltrona, coprendosi con un vecchio plaid scozzese con le frange. Avrebbe voluto dormire ma il dolore era troppo forte. Si mise a guardare le mattonelle di graniglia. Erano tirate a lucido, con delle greche marroni che formavano una stella al centro della stanza. Una pianta di ficus dalle foglie carnose e lustre riempiva quasi tutta la veranda. Da lì si scendeva nell’orto-giardino. Sulla credenza c’erano foto di famiglia: le quattro ragazze durante una gita in montagna, la prima comunione di Guido, il Signor Giacomo e la Signora Mara in viaggio di nozze a Venezia, su una gondola... A casa sua non c’erano foto e neppure una credenza. Solo le cose più essenziali. Ogni volta che facevano un trasloco lasciavano qualcosa. “Tanto poi lo ricompriamo”. Ma non era vero. E così avevano una casa spoglia. Le reti, i materassi, un tavolo con delle sedie, al posto del divano una branda con un copriletto a fiori. Basta. Né quadri, né cuscini, né piante.
Il giorno prima c’era un sole splendido e lei e Guido avevano giocato a nascondino, vinceva sempre lui perché conosceva tutti i nascondigli, ma lei era contenta lo stesso. Guido era alto e smilzo, con le ginocchia ossute e una folta peluria sul labbro superiore. Le sue quattro sorelle erano bionde e frequentavano il  ginnasio e le magistrali. Avevano tutte un nome che iniziava con Maria: Maria Rosa, Maria Assunta, Maria Chiara, Maria Sole. La Signora Mara aveva fatto un voto alla Madonna perché non riusciva ad avere bambini. E aveva funzionato perché una dopo l’altra aveva sfornato le quattro bambine. Guido era nato dopo tanti anni. Adesso faceva la III elementare, come lei, ma sembrava più grande. La Signora Mara portava una treccia grigia arrotolata intorno alla testa, suo marito aveva i capelli tutti bianchi e dei baffoni argentati. Sembravano due vecchi e le facevano un po’ di soggezione, anche se erano molto affettuosi. Ma adesso lei era lì per le vacanze di Pasqua e i suoi sarebbero venuti per il pranzo della Domenica. Dovevano lavorare tutta la settimana, le scuole erano chiuse e i Signori Cacciapuoti erano così gentili, “ ti va vero di passare qualche giorno con Guido e le ragazze, vi divertirete un mondo”. E infatti si stava divertendo parecchio, era persino andata ad assistere a un saggio di musica dove Guido cantava, non pareva neanche lui, aveva un papillon rosso e con il microfono in mano sembrava più grande e disinvolto. Forse perché le sue ginocchia ossute erano nascoste dai pantaloni lunghi, forse perché si era pettinato con il gel, insomma non era poi così male. Dopo il saggio avevano mangiato dei pasticcini e bevuto l’aranciata e a un certo punto Guido l’aveva presa per mano e l’aveva portata in cortile a vedere una gatta che aveva appena partorito sei gattini: erano umidi e tremanti, con gli occhi chiusi, e delle code striminzite, sembravano dei topi. Era stato lì, mentre lei ne accarezzava uno, che lui le aveva dato un bacio sulla guancia. Poi aveva sorriso scoprendo i suoi incisivi frastagliati e lei si era sentita contenta.
Si rese conto di essersi addormentata per qualche minuto, forse mezz’ora. Il dolore era diventato quasi familiare, le teneva compagnia. Solo a tratti pungeva e lei doveva mettersi la mano sulla guancia per darsi un po’ di calore e avere un’apparenza di sollievo. Si mise a pensare alla camicetta che le aveva regalato Maria Sole, la più piccola delle sorelle: aveva le maniche a sbuffo e dei ricami davanti a punto croce. L’avrebbe potuta mettere il giorno di Pasqua con la gonna a pieghe blu e le scarpe bianche con i calzini di pizzo. Il cappellino di paglia quello no, lo detestava, glielo aveva regalato la nonna, ma lei se l’era messo solo una volta, per educazione e per non offenderla. Ma stavolta  lo avrebbe lasciato in fondo alla valigia.
Guido si mise a parlare nel sonno, poche parole, senza senso, mentre il Sig. Cacciapuoti russava sempre più forte. Le giornate si erano allungate, adesso il sole sorgeva prima. Dai vetri della veranda si intravedeva un chiarore nitido e rosato. Anche gli odori erano cambiati: dal giardino stava salendo un profumo di macchia e di lavanda, misto a quello delle rose. Era aprile inoltrato e stavano già sbocciando. Quando torno a casa voglio piantare qualche fiore sul balcone, pensò. La mamma non ha tempo, li innaffierò io tutti i giorni e li concimerò e ci metterò dentro i fondi di caffè come ho visto fare alla Signora Mara che ha tutte queste piante belle rigogliose, le spolvera pure, foglia per foglia, ci parla, le accarezza, le guarda con amore. La mamma dice che le piante sono belle ma poi muoiono e lei non sopporta le cose che muoiono, sporcano, fanno sudicio, bisogna raccogliere le foglie secche, vengono le formiche o addirittura gli scarafaggi, a lei  piacciono solo le stelle alpine, quelle tutte pelose, ma stanno solo in montagna e a dire la verità un po’ mi sembra una scusa. Le piante sono belle, mi fanno allegria, le foglioline appena nate sono come quei gattini, umide e appiccicose… Pensò anche che la mamma non amava i gatti e nemmeno i cani, anzi dei cani aveva proprio terrore, perché una volta, quando era piccola, un lupo le si era avventato addosso ed era rimasta due giorni senza parlare per lo spavento. I Cacciapuoti avevano un vecchio cane che si chiamava Ulisse, lo tenevano nell’orto, aveva una cuccia di legno e abbaiava da cane vecchio e stanco e tutti i giorni mangiava un pastone dal profumo buono, non sembrava una pappa per cani, dentro la Signora Mara e Maria Chiara, che da grande voleva fare la veterinaria, ci mettevano un misto di verdure, riso e ali di pollo, disossate, per non fargli andare gli ossicini di traverso. Ulisse aveva un pelo corto e ispido color miele e delle orecchie morbide che gli davano l’espressione mansueta. Ringhiava solo al postino, ma non faceva male a una mosca, sì le piaceva Ulisse, le piaceva proprio…

Si aggiustò meglio nella poltrona, il dolore era diventato un’ombra silenziosa e inoffensiva,  adesso mi alzo e mi rimetto a letto, pensò, ma ho paura di svegliare tutti, forse è meglio se resto qui, questa vecchia poltrona di pelle è morbida, chissà, forse posso fare un riposino, domani Guido mi porta alla miniera abbandonata, ha detto che mi deve far vedere delle pepite d’oro, una volta di oro ce n’era tantissimo poi la vena si è esaurita, non sono mai stata in una miniera, è nella pancia della terra, deve essere umida e buia, ma non ho paura, Guido mi prenderà per mano e giocheremo al vero nascondino, che bello, non voglio che finiscano le vacanze, questa casa mi piace, siamo in tanti e tutti fanno sempre qualcosa, chi canta, chi cucina, chi gioca a scacchi, chi cuce, domani mi metto i pantaloni, quelli scuri, così se li sporco non si vede, domani voglio rivedere i gattini, chissà se la mamma me ne fa portare uno a casa, no, già lo so, è meglio se non glielo chiedo, domani se mi passa questo mal di denti mi voglio proprio divertire…




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