martedì 12 gennaio 2016

AUTOSTOP




Se ci ripenso mi viene un brivido. Ma non è un brivido di paura, è piuttosto un brivido di emozione, di eccitazione. L’avventura. L’imprevisto. Il rischio. L’emozione. E tutto gratis, senza bisogno di consultare orari, fare prenotazioni, preoccuparsi di scioperi, code e ritardi. Mettersi sul ciglio della strada e con il pollice rivolto verso l’alto, armate di pazienza e di un sorriso, aspettare un passaggio di un automobilista gentile anche solo per pochi chilometri.
In almeno una decina d’anni di viaggi in autostop, mai avuto problemi, a parte quella volta in Sardegna, di cui poi racconterò. A volte i guidatori erano taciturni. E io e la mia amica Lena, dopo aver accennato qualche frase di cortesia, rispettavamo quel silenzio e poi un saluto svelto, un grazie, fino al passaggio successivo. Altre volte invece, chi ci caricava su lo faceva per non sentirsi solo e magari, in un’ora di viaggio, ci raccontava tutta la sua vita. E noi incuriosite e attente  ascoltavamo storie  complicate o semplici, di amori, figli, lavoro, rimpianti, sogni.... E poi c’erano i guidatori curiosi, che ci facevano domande su domande guardandoci nello specchietto retrovisore: "Non avete paura, due ragazze così giovani... e se incontrate qualche malintenzionato? E i vostri genitori cosa dicono? I vostri padri?" E noi che da poco avevamo perso entrambe  il padre, raccontavamo che le nostre madri erano moderne e soprattutto avevano fiducia in noi che  eravamo ragazze prudenti. A volte i guidatori più generosi e gentili ci offrivano la colazione o il pranzo. Un giorno un signore molto fine, (sembrava un nobile di altri tempi) ci offrì un pranzo sontuoso a Modica, in un ristorante di lusso. Ricordo un particolare: i tovaglioli erano color lillà e anche le tende e i divani di velluto.
Qualcuno a volte ci dava indicazioni su dove passare la notte. A Cagliari abbiamo dormito in una tipografia, eravamo un gruppo di 6 o 7  e ci sistemammo con i sacchi a pelo sul pavimento, molto grati al giovane proprietario che ci ospitò per un paio di notti. A Cosenza dormimmo sulle panche di legno della sala d’aspetto della stazione. Il capostazione ci chiuse a chiave, per la nostra protezione, disse, e dormimmo beate per tutta la notte. In Basilicata dormimmo in una villetta in costruzione. Non c’erano ancora le finestre e ricordo il profumo di macchia mediterranea che ci inebriò al’alba. I più gentili, anche se apparentemente i più burberi, erano i camionisti. Per loro, poter fare un viaggio in compagnia, era un modo per evitare i colpi di sonno, dopo ore e ore al volante. Stare nell’abitacolo, accanto al guidatore, così in alto ci dava una bella sensazione di potenza e di forza; le macchine  viste da lassù sembravano scatolette e noi sui nostri Tir ci sentivamo protette, al sicuro, e ci chiedevamo come potesse essere guidare un mezzo così grande. Una volta viaggiammo su un camion che trasportava latte. All’interno c’era un rubinetto e ogni tanto il  nostro camionista  ci offriva un bicchierone di latte freddo, che, data la situazione, non ci sentivamo di rifiutare, anche se io ero piuttosto intollerante al lattosio. Nel marzo1979, durante uno dei viaggi memorabili che feci in autostop, insieme al mio ragazzo greco e a un'amica (Firenze, Parigi, Amsterdam, Londra, in soli 15 giorni), ci caricò sul suo Tir un camionista inglese, John, con suo figlio di 12 anni. Ci alternavamo a riposare nella cuccetta sul retro, molto comoda, ci si stava in due, e il viaggio, fino a Parigi andò liscio come l’olio. John era rosso di capelli, lentigginoso e corpulento e aveva l’aria gentile. Alla periferia di Parigi il camion andò in panne. E John non aveva i soldi sufficienti per lariparazione. Glieli prestammo noi. Era una bella cifra. Lui ci scarabocchiò
su un pezzetto di carta il suo indirizzo e ci disse che al nostro arrivo a Londra ce li avrebbe restituiti. Noi continuammo il nostro viaggio, ricordo il vento freddo e il nevischio ghiacciato sulla faccia. Dopo Parigi, dove fummo ospitati a Montparnasse da Jeanne, la nipote di Marguerite Duras, passammo molte ore sull’autostrada verso i Paesi Bassi, senza che ci prendesse su nessuno. Si fermò una pattuglia della polizia che ci dette un passaggio fino alla città più vicina, dove trovammo un piccolo ostello economico per la notte. Ad Amsterdam invece ci ospitò una coppia di amici, Marilena e Jan,  lei veneta e lui olandese, che avevamo conosciuto in Grecia. Arrivati a Londra andammo a cercare John. La sua villetta era in un quartiere popolare, molto lindo, con piccoli giardini e staccionate bianche. Ci aprì la porta la moglie di John, mentre un numero considerevole di bambini in pigiama, forse 4 o 5, fra i quali una coppia di gemelli, stava per andare a letto dopo il bagno. Erano solo le 6 di sera e la cosa ci stupì alquanto. John era in viaggio con il figlio più grande. La moglie ci fece accomodare e dopo averci offerto un bel tè bollente, ci dette una busta con i soldi e una frase di ringraziamento da parte di John. E’ uno di quei ricordi dolci: la casa con il parquet di assi lucidate a cera, l’odore buono dei bambini, la stufa di ghisa, i capelli biondi e spettinati della moglie di John, la sua gentilezza...Spero che abbiano avuto tutti una vita felice. Che strano, ci si incontra, per il tempo di un viaggio e dopo quarant’anni si ripensa a quelle persone con dolcezza e un po’ di nostalgia. Per un brevissimo tratto abbiamo avuto modo di incrociare le nostre esistenze e tutto questo diventa un piccolo seme di tenerezza e di gratitudine che ogni tanto fiorisce e ci scalda il cuore.
Ma quella volta in Sardegna fummo sprovvedute.
Di solito non accettavamo passaggi se a bordo c’erano due uomini. Ma  dovevamo rientrare all’Ostello di Arzachena dove ci stavano aspettando per la  cena,  ed eravamo in ritardo. Accettammo il passaggio da parte di due ragazzi, uno, lo ricordo, era molto scuro, gli occhi a mandorla, il più gentile dei due, l’altro piccolo, con gli incisivi sporgenti, biondo e l’espressione strafottente. Si misero a parlare in sardo. Io, che avevo fatto le elementari in Sardegna, capii quello che si stavano dicendo: stavano escogitando qualcosa.  L’autista, il moro, deviò improvvisamente per una stradina sterrata in mezzo a querce da sughero e ulivi. La mia amica iniziò ad agitarsi, io a gridare. Il biondo si girò verso di me e allungò una mano. E lì mi venne un lampo di genio: inventai che ero malata di nervi e che stavo per avere una crisi e iniziai a urlare come un’indemoniata. Il moro, piuttosto preoccupato, disse qualcosa all’amico e aprì lo sportello della macchina. Riuscimmo a scappare, ma i due non provarono neanche a inseguirci. Brutto spavento e grande insegnamento per il futuro: mai più passaggi se non da coppie, donne o uomini soli. E la brutta avventura rimase solo un ricordo. L’ultimo autostop l’ho fatto alla fine degli anni settanta. E credo che quella sia stata la fine di un’epoca per tutti gli amanti dell’autostop.  Ma, a pensarci bene, mi era rimasta una certa nostalgia. E qualche anno fa, a Itaca con un amico ho voluto rifare l’esperienza.
Lui, vent’anni più giovane di me, non l’aveva mai fatto e, per la prima volta, si è messo sul ciglio della strada con il pollice sollevato. Ed è stato bello parlare con le persone gentili che ci davano un passaggio, scoprire itinerari non previsti o non segnati sulle mappe, liberi, senza problemi di orario. Sapevamo solo dove volevamo arrivare ma non eravamo condizionati dal tempo. E visitare la bella Itaca così, alternando autostop e lunghi percorsi a piedi, spesso in silenzio, in mezzo a quella natura profumata di origano e mentuccia e al frinire chiassoso delle cicale, è stata un’esperienza che mi porterò nel cuore. Viaggiare a piedi, ecco la mia prossima sfida, chissà, il Cammino di Santiago o in giro per la Basilicata, o semplicemente percorrere il pezzo di Via Francigena che passa dalle mie parti. Questi sono i viaggi che preferisco: libertà, natura, avventura, semplicità, silenzio, lentezza. Chissà cosa penserà il nipote che mi nascerà fra meno di tre mesi, di questa nonna così stramba!

Se potessi fargli un dono, come una delle fate gentili di Cenerentola, gli regalerei l’amore per i viaggi, la curiosità per il nuovo e uno sguardo puro e incantato di meraviglia che  lo accompagni per tutta la vita.

1 commento:

  1. Bel racconto, come al solito, e nutrimento per l'anima, specie per chi, come noi, si avvia verso l'età adulta... ;)

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