mercoledì 10 ottobre 2018

CI SI AFFEZIONA AI LUOGHI

Ci si affeziona ai luoghi. Anche se a volte ce ne lamentiamo. Mi piace, non mi piace, avrei voluto questo, avrei voluto quello. Ma quando li dobbiamo lasciare, magari dopo più di vent'anni, mentre prepariamo gli scatoloni per il trasloco, ci accorgiamo all'improvviso di amarli, e tutto il tempo passato a lamentarci ci sembra un tempo sprecato inutilmente. Avremmo potuto amarli di più quei luoghi, avremmo potuto prendercene più cura, avremmo potuto guardarli con più benevolenza e tenerezza, avremmo potuto… Soprattutto quando si tratta di un ufficio. Certo in inverno (quando non accendevano i riscaldamenti, ed è successo per anni), e anche nelle mezze stagioni, faceva freddo, molto freddo e non ci si riusciva mai a scaldare, dovendoci coprire fino all'inverosimile, a volte addirittura mettendoci un plaid sulle gambe.

E d'estate, la luce abbagliante ci costringeva a chiudere le persiane e a stare in penombra, visto che la richiesta di mettere almeno una tenda veneziana non era mai stata nemmeno presa in considerazione. E le sere d'inverno, quando si usciva dall'ufficio, i lampioni erano spenti e bisognava attraversare il parco al buio, sperando di non fare brutti incontri. Senza poi tenere conto di quel lungo periodo in cui si era rimasti da soli nella palazzina deserta e i ladri erano entrati ben 5 volte, rubando tutto quello che potevano. Ci era stato prospettato un trasferimento in un altro ufficio, ma noi quell'ufficio lo amavamo, anche se la cosa poteva sembrare impossibile, lo amavamo e chiedevamo solo di poter lavorare al caldo e al sicuro. E senza la luce in faccia d'estate. Tutto qui. Ma la macchina burocratica, si sa, è piuttosto lenta e arrugginita e ha i suoi tempi. Eterni. E quindi per 21 anni si era rimasti lì. 21 inverni freddi, ma anche 21 primavere. Quando arrivavano le rondini era una gioia vederle volteggiare dalla finestra aperta, con il Tempio antico sullo sfondo. E nello stesso periodo veder schiudere i fiori d'arancio che di lì a poco avrebbero inondato il giardino del loro profumo. E quando l'albero di Giuda, dal duplice tronco contorto, che sembrava mimare un abbraccio, fioriva di viola, era uno spettacolo. E poi i merli saltellanti e i gatti della colonia felina, che si erano avvicendati negli anni, uno più bello dell' altro... E il laghetto, per anni trascurato, fino a seccarsi del tutto, aveva negli ultimi tempi ripreso vita con moltissime anatre, qualche tartaruga e numerosi pesci rossi. Nei pomeriggi di primavera e d'estate il chiasso dei bambini entrava dalla finestra ed era una nota allegra che rendeva quelle lunghe giornate di rientro meno pesanti. Un bel posto per lavorare, dicevano tutti, ma lì iniziava il lamento, più che giustificato: troppo freddo, troppa luce, troppo buio, troppa solitudine. Tutto sacrosanto. Tutto vero. Ma c'era il giardino. E gli anziani sulle panchine. Ma anche i tossicodipendenti. Le lunghe sere d'estate. Ma anche quelle buie e fredde dell'inverno. Nessun luogo è perfetto, come non lo sono le persone e alla fine ci eravamo affezionati. Lontani dai tumulti del palazzo, dai pettegolezzi, dall'atmosfera a volte pesante di una convivenza con qualche collega ostile. Tutto ha un prezzo. E quel plaid sulle gambe era forse il prezzo da pagare. Qualcuno ci diceva: "il lavoro è lavoro". Ma quel lavoro, al quale all'inizio avevamo tanto tenuto, appassionandoci e impegnandoci, era stato, per un insieme di cose, sempre più svilito, snaturato, in qualche modo oscurato. Ma questo è un altro discorso. 
E adesso, preparando gli scatoloni, qualche periodo felice e realizzato riemerge fra i faldoni. Qualche anno buono c'è stato. Di soddisfazioni, gratificazioni e riconoscimenti. Poi tutto è cambiato. Ma questa è un'altra storia. Quanta roba si accumula in 21 anni. Quanta fatica a catalogarla, smaltirla, o semplicemente destinarla all'archivio. Fatica psicologica, soprattutto. Ricordi che si susseguono. Speranze. Gioie. Delusioni. E adesso, a poco più di un anno dalla pensione, arriva il trasferimento in un'altra sede. Più bella e spaziosa, ancora più luminosa (temo che il problema delle tende si presenterà di nuovo), con tanta gente, pubblico e colleghi, e vari uffici, anche di un altro ente. E il distributore di caffè e bibite. Ci si potranno sgranchire le gambe e scambiare due chiacchiere con qualcuno, durante la pausa. Ma senza il giardino. A pensarci bene, tutta questa solitudine, tutto questo silenzio, l'avevamo voluti e cercati noi. E adesso che forse siamo pronti, è arrivato il momento di stare in un luogo pieno di persone, di stanze, di relazioni. E il parco con le anatre e gli alberi d'arancio ce lo potremo godere nel tempo libero. E forse guarderemo quella finestra con un po' di malinconia. Ma solo un po'. E ci godremo la vita. 

Sto traslocando l'anima
fra scatole e cartoni
nascoste le emozioni
i trucioli rimasti
svolazzano su un vuoto 
di memoria.

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