martedì 19 luglio 2016

NEL CIELO NEPPURE UNA NUVOLA (ricordando Pomaia)







Succedeva di notte. Il richiamo era ogni volta più forte.
Si alzò dal letto e scivolò silenziosa fuori dalla stanza dove dormivano le sue compagne Il buio era appena rischiarato dal riverbero della luna. Pace perfetta. Nella corte scricchiolio di ghiaia e dopo pochi metri  il sentiero, morbido, di terra battuta. Ai lati bordature profumate di lavanda. Anche se era quasi la fine d’agosto era ancora fiorita e al massimo della sua fragranza. Lei camminava lentamente, assaporando il tocco del piede sul terreno, sentendo le piccole asperità di pietra che formavano scalini appena scoscesi, passo dopo passo, elegante, austera nella sua semplicità. Poteva godersi la gioia di quel camminare senza fretta, senza affanno. Camminare semplicemente per camminare. Ed essere presente con il corpo e con la mente, non proiettata nel futuro o rivolta al passato, ma lì in quel giardino, in quella notte di fine estate, in quel monastero dove aveva scelto di trascorrere alcuni giorni per prendersi cura di sé.  La camicia da notte leggera e bianca le creava intorno al corpo una nuvola di purezza e di candore, che dava al suo passaggio una parvenza quasi di irrealtà. Creatura notturna, angelica, misteriosa. E, passo dopo passo, arrivò al campo degli ulivi. Ulivi giovani ed esili, appena contorti, con le braccia dei rami protese verso un cielo blu cobalto punzecchiato di infinite stelle. Il bello della notte e dell’oscurità perfetta, che ti fa affinare i sensi, ti fa vedere al buio occhi luminescenti di gatto, guizzi improvvisi, saltelli sui cespugli. E sentire gli odori, rinfrescati e acuiti dall’umidità della rugiada. Era possibile distinguerli, uno a uno, in una specie di inventario profumato e magico, lasciandosi poi sopraffare dall’alchimia che li univa tutti insieme in una fragranza unica, per scomporli di nuovo, come in un gioco. Su tutti prevaleva il profumo della lavanda, appena un po’ amaro all'inizio e  via via sempre più dolce e frizzante nel naso. E poi l’odore di terra, più asciutta nel pendio e più grassa lungo il sentiero. E di erba fresca e umida, verde anche nel respiro, inebriante. E di quella secca, quasi di fieno, su verso la collina. Il profumo del mirto, appena aspro, e quello del lentisco, suggerivano la vicinanza del mare, a pochi chilometri. Soffermandosi ad annusare il vento tiepido si poteva avvertire il sale e quasi sentirlo sulle labbra. Le rose, quelle gialle, erano quasi sfatte, ma i petali caduti ne conservavano l’essenza profumata di vaniglia.
Le rose in città non profumano più e sembrano finte, questo lei pensò, assaporando con ancora più pienezza quella meraviglia. I grilli si alternavano nel canto a qualche cicala ritardataria. E poi fruscii, richiami di uccelli notturni, battiti d’ali, un gracidare lontano, giù dallo stagno. Rifece il cammino inverso, sfiorando con le dita le inflorescenze di lavanda. A tratti i rumori si fermavano all’improvviso e le sembrava di entrare in una bolla di silenzio. Era allora che i profumi diventavano ancora più intensi e gli altri sensi si acuivano, come a voler bilanciare quell’assenza di suoni, con una vista più acuta, che quasi vedeva oltre la notte, un odorato più sveglio, a caccia di tracce profumate, un tatto pronto a cogliere la morbidezza, la rugosità, la freschezza, l’umido, il secco di quella natura. La notte si era fatta ancora più scura e l’aria più fresca. Si avvicinava l’alba. Si fermò per qualche istante ad abbracciare il grande pino marittimo, il viso appoggiato alla corteccia ruvida e profumata di resina, le braccia intorno al tronco, solido ed elegante nello stesso tempo. E, prima di rientrare nel dormitorio, rivolse un ultimo sguardo al giardino, per poterlo portare con sé nel sonno e farlo germogliare come seme fertile e buono. Quella pausa rigenerante avrebbe reso il suo riposo ancora più profondo. Sotto il cuscino avrebbe messo un mazzetto di lavanda. L’indomani sarebbe stata una bellissima giornata.  
Nel cielo neppure una nuvola.


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