lunedì 25 luglio 2016

UNA BELLA GIORNATA (dalla raccolta "BAMBINE")





La sua nuova amica si chiamava Maria Carla, detta Bambi.
Era molto alta e aveva un accenno di seno, con due capezzoli appuntiti come matite appena temperate. Era un po’strana. Lei non avrebbe saputo dire bene perché. Strana.

Una domenica Bambi l’aveva invitata a pranzo a casa sua.

I suoi erano gentili.

La madre, dopo averla abbracciata, le aveva detto:

“Non chiamarmi signora, mi fai sentire vecchia! Chiamami Nives!”

Appena finito di mangiare, Bambi si era seduta in braccio a suo  padre e aveva preso a sussurrargli qualcosa all’orecchio. Poi avevano incominciato a ridere parlottando fra loro. Anche la Signora Nives rideva, sembrava contenta.

Lei si era sentita a disagio, fuori posto. Padre, madre e figlia ridevano, ridevano. Sembrava una commedia o uno di quei film dove ridono tutti, ma tu non hai capito la battuta

Guardando Bambi e il padre abbracciati, aveva pensato che lei di suo padre aveva soggezione. Lui non c’era mai e quando era a casa, il sabato e la domenica, se ne stava tutto il tempo a guardare le partite o le corse di moto. Parole poche, strascicate. E sempre le stesse:

“Come va la scuola?”

“Va’ ad aiutare tua madre”

“Comprami un pacchetto di sigarette”.

Basta. Figuriamoci poi sedersi sulle sue ginocchia.

Invece fra quei due c’era una strana complicità. Che lei un po’ invidiava. Come pure invidiava il caos colorato della loro casa, con quei cuscini di velluto sui divani e piante dappertutto. Una casa allegra. Luminosa.

L’invidia la sentiva nella gola, in un nodo fastidioso e amaro, che quasi la strozzava.

Quel pomeriggio, dopo merenda, Bambi aveva tirato fuori dall’armadio un bauletto rosa, merlettato, pieno di matite colorate, rossetti, fard e polveri luminescenti con le stelline. Le voleva insegnare a truccarsi

“Non è un po’ presto a 11 anni?” lei le aveva detto timidamente, mentre cercava di togliersi una macchia di rimmel dalla palpebra.

Ma Bambi, con un rossetto rosa perlato che mandava guizzi luminosi, le aveva risposto:

“Bisogna impararla presto l’arte della bellezza. Guarda mia madre: si è sposata a 18 anni, a 19 sono nata io, e vedi quant’è  bella, sembra una ragazzina. Non hai mai dimenticato un giorno di truccarsi, il rimmel e la matita intorno agli occhi anche quando va a fare la spesa. E invece, scusa, ma tua madre, sembra quasi una vecchia, con quei capelli lisci scoloriti e le zampe di gallina… quanti anni ha? Trentacinque?...pare che ne abbia almeno cinquanta!”

 “Guarda che ti sbagli… mia madre è bella, certo ha un po’ la faccia stanca e sfiorita con tutto quel correre, il negozio, la casa, mio padre, sempre più esigente, ogni giorno camicie bianche da stirare…” Avrebbe voluto risponderle così. Ma era riuscita solo a dirle, a bassa voce: 
“Trentadue. Appena compiuti”.

Sua madre le faceva pena, sempre così affannata, sempre così incupita e stanca. A volte le saliva forte il desiderio di scuoterla per le spalle e gridarle:

“Fermati un attimo, guardami, ascoltami!”

Invece se ne stava zitta, e per calmare il senso di colpa e di impotenza, cercava di rendersi utile. Ogni mattina si rifaceva il letto, a volte puliva il bagno, altre volte dava una mano a stendere il bucato.

Piccole faccende. Non le pesavano. Avrebbe fatto i lavori forzati pur di vedere sua madre sorridere come la Signora Nives, che rideva sempre, scuotendo i capelli riccioluti freschi di parrucchiere e aveva addosso un profumo alla rosa, forse un po’ troppo forte,  ma buono.

Invece sua madre non amava i profumi, diceva di essere allergica. Ma come si fa ad essere allergiche a qualcosa di buono?

Le sapeva tanto di scusa. Semplicemente non aveva i soldi per comprarselo il profumo, o forse le sembrava una cosa frivola, uno spreco, chissà.
A Pasquetta erano andati tutti a fare una scampagnata: Bambi e i suoi genitori, lei e i suoi, e anche suo cugino Oscar. Suo padre aveva un debole per Oscar. Insieme giocavano a pallone o a racchettoni sulla spiaggia, oppure facevano la lotta. Lei se ne rimaneva impalata e timida a guardarli, avrebbe voluto partecipare a quei giochi da maschio, ma non ce la faceva, si sentiva le gambe rigide, bloccate e le spalle contratte. Suo padre rideva, Oscar riusciva quasi sempre a batterlo, ma lui non se la prendeva, anzi, sembrava orgoglioso.
Era il figlio maschio che aveva sempre desiderato... 
Appena arrivati nella sughereta, sua madre e la Signora Nives avevano disteso sul prato una grande tovaglia a quadri, con sopra ogni ben di Dio: frittatine, uova sode, pollo arrosto, patate al forno, tiramisù e colomba. Quattro fiaschi di vino, appoggiati in cerchio intorno a una quercia, sembravano sentinelle impalate a fare la guardia. Gli uomini si erano messi a giocare a carte, Oscar tirava calci a un pallone un po’ sgonfio, Bambi appoggiata ad un albero sfogliava una rivista femminile. Lei si era messa a sgusciare le uova.
“Appena ho fatto arriviamo fino al fiume?” aveva detto a Bambi.

Ma Bambi  aveva risposto alzando le spalle:

“Adesso non mi va, chissà, forse dopo.”

Poi lei si era distratta a mettere la legna sul fuoco per fare la brace.

Quando si era girata Bambi non c’era più. E nemmeno Oscar.
“Li vado a cercare”- aveva pensato- così magari andiamo insieme al fiume”.

Aveva camminato per una buona mezz’ora, fino quasi a perdersi. Al fiume non c’era nessuno. Era risalita su per la collina, inerpicandosi a quattro zampe nei punti più ripidi. Era eccitata, le sembrava un’avventura, un giocare a nascondino più serio, da grandi. Finché aveva sentito delle risate provenire da dietro un cespuglio. “Eccovi, finalmente!” aveva detto a voce alta con sollievo, tutta rossa e accaldata.

Bambi era sdraiata per terra e sopra di lei ansimava Oscar. Erano goffi.
Erano ridicoli.

Era scappata via correndo e inciampando sul terreno scosceso.

“Dove ti eri cacciata? E quegli altri due dove sono? Aiutami a girare le salsicce sulla brace” le aveva detto sua madre.

“Stanno giocando a pallone, fra poco arrivano…”. Il cuore le scoppiava in gola.

Non aveva fatto in tempo a finire la bugia che Bambi era comparsa dal folto degli alberi, sorridente, appena un po’ spettinata, con dietro Oscar, dinoccolato, a testa bassa. Suo padre doveva aver intuito qualcosa perché c’era nel suo sguardo un guizzo di orgoglio che sembrava dire: “E bravo mio nipote!”

 “Grazie- le aveva sussurrato all’orecchio Bambi - domani ti regalo il mio ombretto. Quello azzurro, con le pagliuzze argentate”.

“Io non mi trucco. E poi il blu non mi piace. - si era asciugata una lacrima con il dorso della mano sporco di fuliggine - Uffa, questo fuoco mi fa bruciare gli occhi.”

Bambi le aveva tolto il forchettone dalle mani.

“Spostati che ti aiuto. Se vuoi dopo andiamo al fiume. Sole io te. Va bene?”


Lei aveva tirato su col naso:

“Va bene. Ma promettimi che Oscar non viene.”

“E’ solo un bambino scemo. A me piacciono quelli più grandi. E poi mi diverto di più a giocare con te.”

Lei aveva sospirato. Un sospiro lungo, di consolazione.

Oscar stava facendo la lotta con suo padre.

Il padre di Bambi stava stappando un fiasco di vino.

Le due mamme se ne stavano sedute su un tronco a fumarsi una sigaretta.

Bambi le stava sorridendo.  

Era proprio una bella giornata.

E lei in quel momento si sentiva incredibilmente felice.









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