A volte subiamo dei torti. O
almeno ci sembra di averli subiti. E soffriamo. Ci sentiamo incompresi,
fraintesi, offesi. Ruminiamo pensieri di auto-commiserazione e non riusciamo a
trovare pace.
La persona che ci ha feriti diventa all’improvviso una presenza
minacciosa e ostile e la sua vicinanza ci procura una sensazione sottile di malessere
e avversione. Diventiamo all’improvviso vigili e attenti a ogni sua parola che sicuramente, prima o poi, ci porterà
alla memoria il torto subito. Se c’era un’amicizia l’amicizia si incrina, come
pure un legame d’amore. “Come hai potuto farmi questo?” gridiamo oppure pensiamo,
senza avere il coraggio di chiarire. E se l’altro prova a spiegare le sue
ragioni noi scuotiamo la testa prevenuti, senza ascoltare, con il viso in
fiamme e il cuore impazzito. Rabbia, rancore, guerra. Un nero di seppia intorbida
il mare dei nostri pensieri e non vediamo luce, chiarore che ci possa
consolare. A volte passano poche ore, altre volte giorni, nei casi peggiori
anni. Ci sono fratelli che non si
parlano più. Per tutta la vita. O genitori e figli. Oppure amici. Con quel
dolore sordo al quale non riusciamo, anzi non vogliamo dare tregua. E se qualcuno
cerca di fare da mediatore o da paciere, ci rendiamo conto, che c’è un
attaccamento al nostro dolore, che ci impedisce di mollare la presa. Perchè
in fondo ormai ci siamo affezionati a lui, è diventato parte di noi, è
diventato, crediamo, la nostra corazza, la nostra impalcatura. E senza ci
sentiamo persi, ci sentiamo fragili. E magari, dopo un po’ di tempo, quando
ormai la situazione sembrava irrimediabilmente compromessa, ci rendiamo conto, per
una frase detta o riportata, che si era trattato solo di un fraintendimento,
una percezione erronea. Ci eravamo sbagliati. Oppure semplicemente avevamo
ingigantito un episodio che di per sé non era poi così grave. Solo che lo
avevamo farcito di proiezioni, interpretazioni, paure. Come evitare tutta
questa sofferenza? Ascoltandosi e ascoltando.
Che non è una cosa facile. Riusciamo
a renderci conto delle espressioni del nostro viso,
dei nostri gesti
impazienti, dei pensieri che ci distraggono dall’ascolto di chi ci sta di
fronte? Riusciamo ad ascoltare con calma la persona che è davanti a noi,
dandole tutto il tempo di esprimersi, senza interromperla, senza pensare a
quello che vogliamo risponderle ancora prima che abbia finito, senza giudicare
quello che sta dicendo? Quanti di noi ci riescono e quante volte? Lo vediamo
bene nei talk show. Urla, interruzioni reciproche, offese. Volti deformati
dalla rabbia, dall’aggressività, dall’ostilità. Ma esiste un modo diverso di
ascoltare, nel quale ci possiamo esercitare. E’ l’ascolto profondo. Un ascolto
fatto di pazienza, amorevolezza, empatia, non giudizio, disponibilità e apertura.
Che poi sono qualità che se “frequentate” anche in altri ambiti, non possono che
farci del bene. E se il nostro interlocutore la pensa in maniera diversa da
noi, possiamo, con calma, sostenere le nostre motivazioni, senza pretendere che
vengano accettate. Possiamo anche rimanere ognuno della propria opinione,
tenendo comunque alto il livello della comunicazione, in un ambito di rispetto
e comprensione.
Siamo tutti esseri umani in questa meravigliosa avventura che è
la vita. E dovremmo sostenerci gli uni con gli altri, con gentilezza e
tenerezza. Ognuno di noi sta combattendo la sua battaglia, ognuno di noi vuole
essere riconosciuto e accettato. Ognuno di noi ha un’anima sensibile, a volte
impaurita, a volte provata dalle vicissitudini. Sorridiamoci un po’ di più. Le
neuroscienze ci spiegano che i movimenti dei muscoli del viso deputati al
sorriso, vanno ad attivare delle zone del cervello deputate alla gioia, l’allegria,
la gentilezza, in uno scambio continuo di cause ed effetti. La gioia fa
sorridere, il sorriso provoca la gioia. E’ nato prima l’uovo o la gallina? E
fate un esperimento: per la strada provate a sorridere alle persone che
incontrate. Vi risponderanno con un sorriso. E sarà una cosa bella .
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