lunedì 2 maggio 2016

LIMONI ( racconto)




Da quando quell’uomo era venuto ad abitare al piano di sopra, lei aveva paura.
Paradossalmente si sentiva più al sicuro a vivere tutta sola, in quel palazzo un po’ malandato del 700 con il portale antico di marmo che cadeva a pezzi e le scale buie dalle mattonelle consumate. Prima di rientrare, la sera, si faceva coraggio, saliva gli scalini due alla volta con un leggero affanno e poi si richiudeva rapida la porta alle spalle. Ecco, era al sicuro, metteva il paletto e si accendeva subito una sigaretta. La sua casa era lì, fedele e materna, ad accoglierla con i suoi muri possenti e le finestre ampie che si affacciavano sulla piazza dai ciottoli squadrati. Ci pensavano le campane della Cattedrale a rompere il silenzio ogni mezz’ora. Per il resto la notte era silenziosa, un silenzio perfetto, appena impreziosito da scricchiolii vari, il respiro del mare in lontananza e il canto di qualche civetta. A volte un gufo si metteva a bubolare sul davanzale della finestra, ma non le dava fastidio, era come un brontolio sommesso che le teneva compagnia.
Poi un bel giorno era arrivato lui.
Aveva sentito girare la chiave, 5 giri completi, nell’appartamento all’ultimo piano, da sempre disabitato. Il cuore aveva preso a batterle all’impazzata. Dopo una mezz’ora avevano suonato alla porta. Lei aveva aperto uno spiraglio, tenendo il catenaccio con la mano.
“Salve, sono il Cavalier Riccomini. Mi sono trasferito qui, vengo da lontano.”
Aveva un’età indefinibile, sembrava un giovane invecchiato precocemente, il volto solcato dalle rughe e gli occhi azzurri dalle palpebre cadenti. Ma la voce era squillante. Non era una voce da vecchio. Lei aveva aperto la porta, senza farlo entrare. Dandogli la mano si era accorta che lui indugiava nella stretta qualche istante di troppo.
Pochi convenevoli:
“Benvenuto nel palazzo.”
“E’ bello sapere che al piano di sotto abita una giovane donna.”
“... se ha bisogno di qualcosa, non so … per orientarsi nel quartiere … mi chiami pure.”
“Grazie, lo farò.”
Poi  lui se ne era andato, con le spalle curve, salendo le scale a fatica.
Aveva strani orari. La notte lo sentiva passeggiare su e giù fino all’alba. I suoi passi coprivano il verso del gufo e il rumore del mare e un po’ le dispiaceva.
Iniziò a usare i tappi di cera. E a fare sogni inquieti.
Una mattina incontrò il Cavaliere al mercato della Marina. Indossava un antiquato cappotto, lungo fino ai piedi, di un panno pesante, blu, con delle strane spalline. La sua testa grigia era china su un banco di ortaggi. Aveva un paio di guanti con le mezze dita, di lana lisa. Sembrava un nobile decaduto, diventato barbone. Ma si vedeva che era pulito e, a parte un vago odore di naftalina, emanava un profumo di saponetta alla rosa e di acqua di colonia. Le fece un cenno di saluto, mentre sceglieva con attenzione dei limoni, scartando quelli più verdi.                                  

Una notte lo sentì gridare. Un grido soffocato, di dolore, di angoscia. Che la spaventò moltissimo. Salì e rimase in ascolto. Silenzio assoluto. Poi di nuovo quel grido, venato di strazio. Il campanello non funzionava e lei si mise a bussare energicamente. Nessuna risposta. Ma non riusciva ad andarsene. Se ne stava lì, imbambolata davanti alla porta. Nell’aria un’ intensa  fragranza di giacinti.
“Cavalier Riccomini, ha bisogno d’aiuto?”
Una voce che sembrava venire dall’oltretomba rispose: “Non è niente, una delle mie solite coliche, stia tranquilla.” Lei se ne tornò a letto, ma non riuscì a riprendere sonno.
La cosa si era ripetuta un paio di volte. Ormai lei a casa cercava di starci il meno possibile. Rimaneva nello studio a sbrigare le pratiche arretrate. Ordinava una pizza o una pietanza al cinese e si scolava un paio di birre. Aveva anche aumentato a dismisura il numero delle sigarette. Si sentiva come malata.
Tornava a notte fonda, giusto in tempo per sentire i passi strascicati del Cavaliere.
Cambiò marca di tappi per le orecchie. Quelli di cera non erano sufficienti. Con la gommapiuma forse sarebbe andata meglio.
Una notte si accorse che all’improvviso era calato uno strano silenzio. Ma non era quello ovattato al quale ormai si era abituata. Non c’era più nessun rumore da cui proteggersi.
Né quello del mare, né quello delle campane, neppure quello del gufo. Si tolse i tappi: un silenzio perfetto. Un silenzio irreale, di pace assoluta. Durò qualche minuto, poi lentamente ritornarono i suoni. Ma niente più passi.

L’otorino le disse che aveva un udito normalissimo. E che forse aveva sofferto di un fenomeno di derealizzazione. A volte, quando si è molto stanchi succede. E lei era molto stanca.
“Signorina si prenda una vacanza, vedrà, le farà bene”. Si era sentita subito sollevata
Quello stesso pomeriggio le suonò il campanello la proprietaria dell’Agenzia Immobiliare sotto casa. Al suo fianco un operaio con una cassetta degli attrezzi:
“Siamo venuti a vedere in che condizioni è l’appartamento al piano di sopra. Non vorremmo spaventarla con i rumori, l’appartamento è disabitato da anni…  l’unico erede, che vive in America, si è finalmente deciso a venderlo.”
“ Come disabitato?  C’era il Cavaliere…”
La signora dell’Agenzia scoppiò in una risata fragorosa:
“Anche lei si è fatta prendere da quelle strane suggestioni… chissà forse le hanno raccontato qualcosa…
“Qualcosa… cosa?”
“L’ultimo ad abitare la casa è stato il Cavalier Riccomini. Quando la sua adorata moglie è morta, dando alla luce il loro unico figlio, vissuto poche ore, lui si è barricato in casa, uscendone solo per andare al mercato a comprare i limoni, che sua moglie, quando era in vita, utilizzava per fare dei meravigliosi centrotavola. Poi glieli portava al cimitero, al posto dei fiori. Un grande amore. Era credo, la fine degli anni 20. Ecco, la Signora aveva una trentina d’anni, proprio come lei, dicono che fosse molto bella. Dicono anche che lui sia morto di crepacuore. Ma mi scusi, le sto rubando del tempo prezioso. Arrivederci!”
Lei rientrò in casa e si  sedette sulla poltrona. Aveva la testa vuota e le gambe molli: forse era sotto stress e aveva immaginato tutto. Doveva prendersi solo un po’ di riposo, partire, svagarsi.
Sì, tutto era sotto controllo, il respiro si era calmato. Il giorno dopo sarebbe andata a prenotare una vacanza. Guardò le isole dalla finestra. Per un gioco di correnti sembravano sospese nel cielo rosa del tramonto. “Sono fortunata ad avere una vista così – pensò - molto fortunata. Ma me ne devo andare per un po’, lontana da tutto questo.”
Si accorse di avere una sete terribile, un’arsura che le seccava le labbra.
Andò in cucina e si riempi un bicchiere d’acqua. Si fermò di soprassalto con il bicchiere a mezz’aria: al centro del tavolo, in un piatto di porcellana bianca, c’era una composizione di limoni.
E nella stanza, quasi impercettibile, aleggiava un profumo di giacinti.


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