mercoledì 30 novembre 2016

GEMELLE (Dalla raccolta "BAMBINE")





Irene ha il pollice verde.
Lei ama le piante, le cura e le accudisce con infinito amore, le spolvera e le accarezza mentre sottovoce canticchia con dolcezza qualche canzone. E le piante amano lei, ricompensandola con fioriture improvvise, steli ritti e boccioli turgidi che farebbero la gioia di qualunque vivaista o floricoltore.
Io, anche se sua sorella, e per giunta gemella, ci ho provato a seguire il suo esempio. Quando eravamo bambine, con la bella stagione scendevamo in giardino e ci mettevamo a zappettare in un angolo riparato da un muro di pietra, dove batteva il sole. Il suo pezzo di terra subito fioriva, rigoglioso, il mio restava secco e brullo, con qualche fogliolina striminzita che non durava più di un giorno.
Irene è bionda, io sono bruna. Ha gli occhi grigi e profondi, mentre i miei sono di un castano banale e spento. Non ci rassomigliamo quasi per niente, forse un po’, ma solo un po’ nel naso, dritto e vagamente aristocratico, dalle narici allungate. Per il resto siamo diverse, come il giorno e la notte. Io sembro più grande, forse perché sono più robusta, e nessuno mai, nessuno, nasconde il suo stupore quando scopre che siamo gemelle, uscendosene con qualche frase stupida e risatine imbarazzate. Ormai non ci faccio più caso. Abbiamo frequentato sempre le stesse scuole, dall’asilo al liceo classico. Stesso banco, per tutti quegli anni. Io proteggevo mia sorella dai dispetti dei compagni, dagli sguardi severi di qualche professoressa, dalla corte goffa di qualche studente foruncoloso. Ero il suo scudo, la sua ombra. E lei mi era grata.
Irene è buona, ha un carattere mite, va d’accordo con tutti, sono io quella più scontrosa, dico sempre le cose nel momento stesso in cui le penso e subito dopo mi pento, perché magari ci potevo pensare un po’ su prima di esprimere giudizi e di parlare a vanvera. Quando succede, mia madre fa una faccia contrariata e poi mi riprende, a volte perde anche la pazienza, ma subito dopo Irene la distrae e mi fa l’occhietto come per dirmi non farci caso, adesso le passa, non è successo niente. Insomma lei è perfetta. E io no. Ma non provo invidia, come si fa a invidiare la perfezione? È da stupidi, allora riverso il malumore e la rabbia all’interno di me stessa, mi dico quanto sei scema, ancora non hai imparato, eppure vicino hai un buon esempio, sembra quasi che tu lo faccia apposta a dire sempre la cosa sbagliata, è una forma di masochismo la tua, perché lo fai? Non lo so perché lo faccio, è più forte di me. 
Quest’anno compiamo vent’anni. Irene si iscriverà a Biologia, io ancora non lo so, forse a Economia, c’è tanta matematica e la matematica mi piace, mi dà sicurezza, non puoi sfuggire, non puoi inventare, è perfetta. Quindi le nostre strade, mia e di Irene, si separeranno. Un po’ mi spaventa. Andremo a vivere in due città diverse, ci incontreremo solo a casa dei nostri genitori, un paio di volte al mese. Nostro padre fa il Capotreno, tutta la vita a viaggiare in su e in giù, mia madre fa la sarta, pochi vestiti, qualche riparazione e soprattutto tende. A furia di stare china sulla macchina da cucire  si è ingobbita, ma anche lei sorride sempre, io invece ho preso da mio padre, sempre cupo e con l’espressione triste. Insomma a casa siamo due belle squadre, i chiari e gli scuri, il giorno e la notte, ma funzioniamo bene, ci compensiamo gli uni con gli altri, ci alleiamo a seconda del bisogno. Per esempio a volte io e Irene ci schieriamo contro i nostri genitori, magari per ottenere un permesso e allora il mio lato scuro diventa un po’ più chiaro e la sua luce si adombra  lievemente, insomma diventiamo un colore uniforme e compatto e se ci dice bene la chiara e lo scuro, divisi, non riescono a far fronte comune e devono cedere. Altre volte i due scuri si schierano contro le chiare, e lì è già più dura, vincono quasi sempre le chiare perché sdrammatizzano, con loro non si può litigare, allora io e mio padre dobbiamo cedere e per un po’ si sentono i nostri borbottii pedanti mentre le due chiare cantano  in cucina.
Io non ho un ragazzo. Irene sì. Si chiama Gianmaria. Lui è uno scuro e andiamo molto d’accordo. Ma ha scelto Irene. Non che ci avessi fatto un pensiero, forse solo i primi tempi, quando ancora non si era messo con Irene. Mi piacevano i suoi silenzi e la sua fronte aggrottata, da vecchio. Punto. Non sono neanche gelosa. Cullo la mia tristezza come un bambino appena nato. La coccolo, le parlo. In fondo non mi manca niente. Prima o poi troverò il ragazzo giusto. Nel frattempo studio e vado in piscina. Ecco, quando nuoto, dopo la trentesima vasca comincio a sentire un formicolio dentro che rassomiglia alla gioia e quando mi specchio ho lo sguardo sereno. In quei momenti se qualcuno mi vedesse accanto a Irene direbbe: “Si vede che siete gemelle. Cambiano solo i colori.” 
E  io, grata,  infinitamente grata, gli farei un  sorriso.

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