mercoledì 1 aprile 2015

LA SPESA AI TEMPI DELLA CRISI. Divagazioni tragicomiche




Prima, nel periodo delle vacche grasse, che poi tanto grasse non erano, anzi erano snelle, ma almeno non gli si contavano le costole, riuscivo a fare la spesa in meno di dieci minuti. A volte mi precipitavo al supermercato  a un soffio dalla chiusura e andavo orgogliosa del fatto che in cinque minuti, al massimo sette, riuscivo a fare i miei acquisti (tenendo conto dei due minuti successivi all’ultimo annuncio fatto da qualche cassiera che in quella manciata di secondi osava tirare fuori tutta la sua seduzione, simulando di essere una supersexy ragazza di una hot line).

Adesso tutto è cambiato. Andare a fare la spesa richiede tempo, attenzione e organizzazione. Non è una cosa da fare come se niente fosse. Non più come prima. Dunque annullare gli appuntamenti e gli impegni di qualunque tipo per almeno un paio d’ore. Ma prima fare una ricognizione ACCURATA di quello che manca. Non ci si può certo limitare a segnare su un foglietto che mancano il pane e il latte, no! E poi disegnare una mappa del supermercato, per evitare la trappola dei prodotti da comprare all’ultimo minuto, magari interrompendo la fila proprio quando stava per toccare a noi. Quindi mappa con i vari reparti e, su ogni reparto, scrivere in rosso i prodotti che dobbiamo acquistare. Naturalmente prima di iniziare il giro dei reparti dobbiamo leggere:

A: il giornalino con le offerte;

B: l’elenco dei prodotti che danno diritto a più punti regalo. Per inciso, adesso non viene più in mente a nessuno di accantonare i punti per prendere i regali, che poi regali non sono, perché vengono valutati a un prezzo altissimo e magari per un bicchiere ti tocca dare, oltre ai punti, anche tre euro. Da quando c’è LEI, la CRISI, se siamo fortunati e ci è capitata la cassiera più simpatica, prima di pagare le sussurriamo sotto voce con nonchalance “scaliamo i punti?” come fosse una parola d’ordine e lei, sorridente e complice ci comunica che abbiamo scalato BEN 1 euro e 50!

C: i prezzi dei prodotti in promozione esposti su un bancone all’ingresso, appesi naturalmente molto molto in alto, tanto da costringerci, sempre con nonchalance, a salire su una cassetta della frutta che non è proprio il massimo della stabilità, rischiando come minimo la rottura del femore o del malleolo,  a seconda dell’età.

Si parte. Offerte visionate. Lotta interiore per rispettare la lista che mi sono fatta: non mi servono tre taniche di  candeggina da 5 litri, anche se me ne regalano una. Non mi servono. E neanche una confezione da dieci chili di pasta, la più costosa, che mi viene offerta con il 20 per cento di sconto. Mi costa meno quella con la marca del supermercato. Sono forte. Ce l’ho fatta. Sono un’acquirente consapevole. La meditazione zen mi sta insegnando qualcosa. Passo oltre. La tentazione davanti alle insalate in busta, già lavate, è forte. Rucola, insalata gioiosa, radicchio, mesticanza. La bustona di cellophane gonfia di spinaci, che si può ADDIRITTURA mettere così com’è direttamente nel microonde, fa vacillare la mia sicurezza.  E vogliamo parlare poi delle zuppe della nonna in barattolo? In un nanosecondo si scaldano e si mettono nel piatto. No. Mi rifiuto di pensare a un’eventualità del genere. L’insalata la compro al reparto biologico, di tre tipi diversi, la laverò 5 o 6 volte nella bacinella e poi la centrifugherò con quel meraviglioso arnese rosso rotondo che mi hanno regalato. Le zuppe pronte no. Mi rifiuto. Mettere in ammollo la notte prima ceci o fagioli, tagliare le verdure dopo averle lavate, fare un leggero soffritto e far cuocere almeno 40 minuti. Poi per renderle cremose, frullarle con il minipimer. Un gioco da ragazzi. O no? La frutta: ci sono sei o sette tipi di mele, le banane che vengono dalle coltivazioni dell’Honduras e quelle biologiche, ma più acciaccate, assolutamente vietate papaie e mango, chissà in quanti container hanno viaggiato e sopra quanti aerei. No. Frutta locale. Quindi leggere la provenienza. Cambio degli occhiali. Naturalmente non li trovo, li ho dimenticati in ufficio. Mi avvicino con il naso e la faccia appiccicati all’etichetta. Mi accorgo di non essere sola, accanto me c’è un gruppo di miopi dall’aria stralunata e lo sguardo perso, hanno la mia stessa postura: schiena curva, occhiali da vista in testa, occhi strizzati a cercare di leggere con cura. Ci scambiamo dei sorrisi di compassione e andiamo oltre. 
La scelta delle uova è veramente ardua.
Biologiche, da allevamenti a terra, extra fresche, giganti, di categoria 1, 2, 3. Ci vorrebbe una pausa caffé per riposare dopo la prima ora di acquisti, ma bisogna andare avanti. Opto per le uova biologiche e striminzite, appena un po’ più costose, ma almeno non mi verrà la Salmonella e non avrò contribuito alla follia di centinaia di galline stipate in locali angusti, una sopra l’altra, e nutrite a furia di mangimi chimici. Se fossi veramente coerente diventerei vegana. ma mi ci sto preparando. I tre piani di scale  (ma non scale normali, scalini belli alti del centro storico) carica di buste sono la fase finale di questa avventura. la ciliegina sulla torta. Sto pregustando il divano... La mia gatta mi accoglie facendo le fusa. L'accarezzo... e mi ricordo di aver lasciato la lettiera giù in macchina, mi tocca riscendere.




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