venerdì 3 aprile 2015

"NCAPACE": MEMORIA E POESIA



Sono andata a vedere il film NCAPACE di Eleonora Danco per la seconda volta. Per godermelo e assaporarmelo in silenzio. Alla fine ero ancora più commossa ed emozionata della prima volta. E per molti motivi.

Il film di Eleonora è un film bello e poetico. Dalla prima alla ultima immagine. Non voglio addentrarmi negli aspetti tecnici e stilistici, a questo hanno già pensato, e compete loro, i critici cinematografici. Voglio solo condividere con voi le emozioni che ho provato.

Una delle ultime frasi che Anima in Pena- Eleonora pronuncia è: “Ho tutta questa memoria negli occhi che mi salva” E’ qui secondo me la chiave di lettura di tutto il film. Salvarsi, attraverso la memoria. Anche se è un percorso doloroso, straziante. Ma i ricordi sono lì, ti strattonano, incalzano, non puoi non ascoltarli. Bisogna scendere negli abissi. Ed Eleonora,  coraggiosamente, lo fa. La tuta che fa indossare e indossa in alcune scene è probabilmente una tuta da astronauta, ma mi piace pensare che possa essere anche una tuta da palombaro, per scandagliare le acque profonde della memoria, delle cose non dette, delle risposte non date. E lei chiede con la sua bella voce da ragazza, gentile ma autorevole, chiede, e non si può non risponderle, con espressione di imbarazzo, schermendosi con una risata o facendo finta  di non sentire, magari una domanda sulla morte. Che? Chiede Mafalda, la meravigliosa Mafalda, che a tutte le altre domande ha saputo rispondere con arguzia, saggezza e voce squillante. Che? E vengono fuori storie, per ognuna si potrebbe girare un film, tante storie, che a volte fanno accapponare la pelle, oppure semplicemente ci inteneriscono e ci fanno sorridere. Come può esistere l’anima, se si pensa ai morti nei sommergibili, da dove può essere uscita l’anima laggiù in basso, no, l’anima non esiste... E sempre Mafalda: se esiste la mamma esiste Dio, si dice sempre Oddio mamma... Oppure la giovane buffa e tenera Marianna che parla delle sue giornate, dei suoi libri non letti, dell’amore. O lo splendido Giacomo che mima il suo primo bacio. E che dire del ballo della minuscola badante? Esilarante, un’esplosione di energia pura, contagiosa. E poi il padre di Eleonora, che fa questo grande dono alla figlia, di esporsi, di parlare, anche se schivo, anche se a certe domande non se la sente di rispondere e i suoi occhi diventano sempre più stretti e si inumidiscono di pianto quando parla della moglie che non c’è più. Ma Eleonora, incalza, con amorevolezza, ma incalza. Perché papà? Dimmi papà... E in quei momenti ci costringe a confrontarci, noi tutti, con l’ambivalenza dei sentimenti e con la paura della vecchiaia e della morte, quella nostra e quella dei nostri genitori. Noi li amiamo i nostri genitori, ma non sopportiamo, proprio non sopportiamo che diventino vecchi, fragili, insicuri. E allora proviamo rabbia, ci dà fastidio quello che dicono, come mangiano, i loro gesti rallentati. Ma è solo paura, solo dolore. Ed Eleonora ce lo mostra con coraggio. Perché ci vuole coraggio a superare certi confini, a esporsi, a parlare di domeniche tristi, di solitudine, di case vuote, di mamme che non ci sono più. Ma ci sono i giovani oltre ai vecchi nel film, nessuna età di mezzo, a parte quella di Eleonora. E i giovani che Eleonora intervista spesso non hanno cultura, sembrano persi, ma sono belli lo stesso, perché lei riesce a catturare la loro umanità, la loro anima, che nonostante tutto è luminosa e vibrante. C’è molto amore in questo film e molto rispetto. E c’è Saudade, questa parola portoghese intraducibile, che vuol dire tante cose: malinconia, nostalgia, rimpianto, tenerezza. Terracina, la città di Eleonora, la mia città, appare bellissima, luminosa e spaziosa. Ed Eleonora ce la porge in alcune immagini surreali, a volte metafisiche (la piazza bianca, gli archi del tempio, le statue del museo). E lei appare e scompare, chiara, eterea, oppure con una tunica scura che svolazza e ci offre il suo corpo agile e vitale, per un attimo nudo, o ricoperto di Gentilini in una vasca da bagno, sdraiato in un letto per strada, che rotola sugli scalini della cattedrale.... La fotografia meriterebbe un discorso a sé. Alcune immagini dei visi dei ragazzi e delle ragazze ricordano le foto di Henri Cartier Bresson. E all’inizio del film, quell’ombrellone sfilacciato, quella madre di spalle, Eleonora che vuole fare il bagno...la spiaggia deserta... Pura poesia.

Mi fermo qui. Eleonora grazie, di tutto. Per la tua gentilezza, la tua forza, la tua generosità. Aspettiamo con gioia il tuo prossimo film. Non vediamo l’ora.


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