Sono andata a vedere il film NCAPACE di Eleonora Danco per la seconda volta. Per godermelo e assaporarmelo in silenzio.
Alla fine ero ancora più commossa ed emozionata della prima volta. E per molti
motivi.
Il film di Eleonora è un film bello e poetico. Dalla prima alla
ultima immagine. Non voglio addentrarmi negli aspetti tecnici e stilistici, a
questo hanno già pensato, e compete loro, i critici cinematografici. Voglio
solo condividere con voi le emozioni che ho provato.
Una delle ultime frasi che Anima in Pena- Eleonora pronuncia è: “Ho
tutta questa memoria negli occhi che mi salva” E’ qui secondo me la chiave di
lettura di tutto il film. Salvarsi, attraverso la memoria. Anche se è un
percorso doloroso, straziante. Ma i ricordi sono lì, ti strattonano, incalzano,
non puoi non ascoltarli. Bisogna scendere negli abissi. Ed Eleonora, coraggiosamente, lo fa. La tuta che fa
indossare e indossa in alcune scene è probabilmente una tuta da astronauta, ma
mi piace pensare che possa essere anche una tuta da palombaro, per scandagliare
le acque profonde della memoria, delle cose non dette, delle risposte non date.
E lei chiede con la sua bella voce da ragazza, gentile ma
autorevole, chiede, e non si può non risponderle, con espressione di
imbarazzo, schermendosi con una risata o facendo finta di non sentire, magari una domanda sulla
morte. Che? Chiede Mafalda, la meravigliosa Mafalda, che a tutte le altre
domande ha saputo rispondere con arguzia, saggezza e voce squillante. Che? E vengono
fuori storie, per ognuna si potrebbe girare un film, tante storie, che a volte fanno
accapponare la pelle, oppure semplicemente ci inteneriscono e ci fanno
sorridere. Come può esistere l’anima, se si pensa ai morti nei sommergibili, da
dove può essere uscita l’anima laggiù in basso, no, l’anima non esiste... E
sempre Mafalda: se esiste la mamma esiste Dio, si dice sempre Oddio mamma...
Oppure la giovane buffa e tenera Marianna che parla delle sue giornate, dei
suoi libri non letti, dell’amore. O lo splendido Giacomo che mima il suo primo
bacio. E che dire del ballo della minuscola badante? Esilarante, un’esplosione
di energia pura, contagiosa. E poi il padre di Eleonora, che fa questo grande
dono alla figlia, di esporsi, di parlare, anche se schivo, anche se a certe
domande non se la sente di rispondere e i suoi occhi diventano sempre più
stretti e si inumidiscono di pianto quando parla della moglie che non c’è più.
Ma Eleonora, incalza, con amorevolezza, ma incalza. Perché papà? Dimmi papà... E
in quei momenti ci costringe a confrontarci, noi tutti, con l’ambivalenza dei
sentimenti e con la paura della vecchiaia e della morte, quella nostra e quella
dei nostri genitori. Noi li amiamo i nostri genitori, ma non sopportiamo,
proprio non sopportiamo che diventino vecchi, fragili, insicuri. E allora
proviamo rabbia, ci dà fastidio quello che dicono, come mangiano, i loro gesti
rallentati. Ma è solo paura, solo dolore. Ed Eleonora ce lo mostra con
coraggio. Perché ci vuole coraggio a superare certi confini, a esporsi, a
parlare di domeniche tristi, di solitudine, di case vuote, di mamme che non ci
sono più. Ma ci sono i giovani oltre ai vecchi nel film, nessuna età di mezzo,
a parte quella di Eleonora. E i giovani che Eleonora intervista spesso non
hanno cultura, sembrano persi, ma sono belli lo stesso, perché lei riesce a
catturare la loro umanità, la loro anima, che nonostante tutto è luminosa e vibrante. C’è molto amore in questo film e molto rispetto. E c’è Saudade, questa
parola portoghese intraducibile, che vuol dire tante cose: malinconia,
nostalgia, rimpianto, tenerezza. Terracina, la città di Eleonora, la mia città,
appare bellissima, luminosa e spaziosa. Ed Eleonora ce la porge in alcune
immagini surreali, a volte metafisiche (la piazza bianca, gli archi del
tempio, le statue del museo). E lei appare e scompare, chiara, eterea, oppure con
una tunica scura che svolazza e ci offre il suo corpo agile e vitale, per un
attimo nudo, o ricoperto di Gentilini in una vasca da bagno, sdraiato in un
letto per strada, che rotola sugli scalini della cattedrale.... La fotografia
meriterebbe un discorso a sé. Alcune immagini dei visi dei ragazzi e delle
ragazze ricordano le foto di Henri Cartier Bresson. E all’inizio del film,
quell’ombrellone sfilacciato, quella madre di spalle, Eleonora che vuole fare il
bagno...la spiaggia deserta... Pura poesia.
Mi fermo qui. Eleonora grazie, di
tutto. Per la tua gentilezza, la tua forza, la tua generosità. Aspettiamo con
gioia il tuo prossimo film. Non vediamo l’ora.
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