martedì 14 aprile 2015

MI CASA ES TU CASA





Avrei voluto una famiglia numerosa

Mia madre era figlia unica, io sono figlia unica e la vita mi ha regalato un'unica figlia

Per parte di padre ho parecchi cugini, molti dei quali hanno ereditato come me il seme dell’irrequietezza e del viaggio. Filo conduttore e matrice comune, anche senza un nesso apparente, è l’America Latina. Due miei cugini vivono in Venezuela e lì si sono fatti una famiglia. Il mio cugino romano vive in Brasile con sua moglie e la sua bambina. E, sempre in Brasile, vive e si è sposato il figlio del mio cugino torinese. Un’altro cugino ha avuto due mogli, una cubana e una cilena. Io sono stata sposata con un peruviano e mia figlia è nata sulle Ande. Mia madre, dopo esser rimasta vedova, ha avuto una bella storia d’amore con un etruscologo del Costarica. Insomma l’America Latina è parte integrante della nostra storia di famiglia.
Non ricordo da bambina cene e pranzi di famiglia tutti intorno a un tavolo, a parte un Natale di quando avevo dieci anni, che mi sembra un sogno. Quindi provavo curiosità e ammirazione per le famiglie numerose e rumorose.
Ma ho trovato il modo di compensare, sviluppando molto presto la capacità di fare amicizia con tutti. Alle elementari arrivavo per prima in classe, tanta era la gioia di trovarmi con i miei compagni che rappresentavano i fratelli e le sorelle che non avevo avuto. E anche al Liceo, gli anni più belli, ho sperimentato la gioia dell’amicizia, della condivisione e della fratellanza. Ho amici dappertutto e dovunque vada ho qualcuno che mi ospita. D’altronde anch’io ospito molto, mi piace aprire la mia casa, condividere la bellezza della vista sulle isole e sui tramonti, preparare cene semplici e gustose. Faccio parte da anni di un’associazione, il SERVAS che ha come scopo principale l'amicizia e lo scambio di ospitalità fra i suoi iscritti e che mi ha permesso di fare incontri molto molto interessanti. Ricordo in particolare una neuro-psichiatra infantile olandese, esperta nell’elaborazione del lutto. L’ho ospitata tre volte ed era un piacere sentirla parlare nel suo buffo e volenteroso italiano, di arte di cinema e di amori, fra un bicchiere di moscato e una ciambellina al vino, Mi ha invitata ad  andarla a trovare a Rotterdam e prima o poi ci andrò, so che lei mi aspetterà a braccia aperte. E poi ricordo un bolognese, promotore culturale, suonatore di bongos. Abbiamo fatto una meravigliosa passeggiata lungo il mare al tramonto, chiacchierando come se ci conoscessimo da una vita e scoprendo di avere in comune un amico napoletano ( mi vengono in mente “6 gradi di separazione”!). E poi un ottantenne finlandese che sembrava Babbo Natale, con un enorme zaino rosso sulle spalle magre: nonostante l’età se ne andava in giro per il mondo, con il suo sguardo azzurro e puro da ragazzo.
In Costarica, tanti anni fa, sono stata ospitata per 7 mesi da una donna che per me rappresenta l’emblema stesso dell’accoglienza e della generosità. Ci aveva presentati un amico comune e lei subito ci aveva  accolti dicendoci: “Mi casa es tu casa”.  Si chiamava Dona Carmen, era una professoressa vedova che aveva adottato due figli di una sorella e una figlia di una cugina morta in un incidente. E cani, galline e una pappagalla di nome Lorita. E noi stranieri in viaggio, con l’arte nel cuore. 
Sette mesi in questa grande famiglia sorridente, scambiandoci a turno regali culinari, in una villetta con il patio fitto di piante tropicali. Quando c'era un improvviso acquazzone Lorita cantava una sua canzone stravagante a squarciagola stropicciandosi le piume colorate, felice di quel regalo del cielo. Ancora me la ricordo quella canzone...

Sette mesi di pura amicizia e armonia, in cui mi sono sentita accolta, al sicuro.  Mi sono sentita a casa.

Su quella bellissima esperienza ho scritto tempo fa queste due poesie:





Nell’Arca

eravamo in tanti

Carmen la matriarca

e i suoi figli adottati

una nipote orfana

un pappagallo

le galline

tre cani

cucarachas svelte nella notte

umida di tropico

e noi due viaggiatori

trasognati

pulizia incerta

polvere dappertutto

il bagno era giallo canarino

non funzionava lo sciacquone

quando pioveva

in gocciole immense

tutti ridevamo di allegria

la pappagalla Lorita

in giardino

a cantare la sua canzone

anche noi cantavamo

Dona Carmen i suoi inni sacri

io ninne nanne  anticipate

per abituarmi all’idea



eravamo una famiglia



mai

neppure un momento

mi sono sentita straniera

lontano

anni luce

era il dolore.





*******************





Robusta pena

separarsi dalla casa

l’ultimo saluto

a tutti

dietro la riga gialla

lato partenze

gratitudine tanta

da gonfiare gli occhi

in un pianto di ore



a Panama

fra un volo e un altro

vedevo le loro facce

una a una

le ho ricordate

sorelle e fratelli

una madre

animali buffi

un pappagallo pettegolo

imitatore di starnuti

gli stormi al tramonto

i pomeriggi d’amore

il binario morto

che portava all’Università

i prati



come in un film

la parola fine.






























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