Avrei voluto una famiglia
numerosa
Mia madre era figlia unica, io sono figlia unica e la vita mi ha regalato un'unica figlia
Per parte di padre ho parecchi cugini, molti dei quali hanno ereditato come me il seme
dell’irrequietezza e del viaggio. Filo conduttore e matrice comune, anche senza
un nesso apparente, è l’America Latina. Due miei cugini vivono in Venezuela e
lì si sono fatti una famiglia. Il mio cugino romano vive in Brasile con sua
moglie e la sua bambina. E, sempre in Brasile, vive e si è sposato il figlio del
mio cugino torinese. Un’altro cugino ha avuto due mogli, una cubana e una
cilena. Io sono stata sposata con un peruviano e mia figlia è nata sulle Ande. Mia
madre, dopo esser rimasta vedova, ha avuto una bella storia d’amore con un
etruscologo del Costarica. Insomma l’America Latina è parte integrante della
nostra storia di famiglia.
Non ricordo da bambina cene e
pranzi di famiglia tutti intorno a un tavolo, a parte un Natale di quando avevo dieci
anni, che mi sembra un sogno. Quindi provavo curiosità e ammirazione per le
famiglie numerose e rumorose.
Ma ho trovato il modo di compensare, sviluppando
molto presto la capacità di fare amicizia con tutti. Alle elementari arrivavo
per prima in classe, tanta era la gioia di trovarmi con i miei compagni che
rappresentavano i fratelli e le sorelle che non avevo avuto. E anche al Liceo,
gli anni più belli, ho sperimentato la gioia dell’amicizia, della condivisione
e della fratellanza. Ho amici dappertutto e dovunque vada ho qualcuno che mi
ospita. D’altronde anch’io ospito molto, mi piace aprire la mia casa,
condividere la bellezza della vista sulle isole e sui tramonti, preparare cene
semplici e gustose. Faccio parte da anni di un’associazione, il SERVAS che ha
come scopo principale l'amicizia e lo scambio di ospitalità fra i suoi iscritti e che mi ha
permesso di fare incontri molto molto interessanti. Ricordo in particolare una
neuro-psichiatra infantile olandese, esperta nell’elaborazione del lutto. L’ho
ospitata tre volte ed era un piacere sentirla parlare nel suo buffo e
volenteroso italiano, di arte di cinema e di amori, fra un bicchiere di moscato
e una ciambellina al vino, Mi ha invitata ad andarla a trovare a Rotterdam e prima o poi ci
andrò, so che lei mi aspetterà a braccia aperte. E poi ricordo un bolognese,
promotore culturale, suonatore di bongos. Abbiamo fatto una meravigliosa
passeggiata lungo il mare al tramonto, chiacchierando come se ci conoscessimo da una
vita e scoprendo di avere in comune un amico napoletano ( mi vengono in mente “6 gradi di separazione”!). E poi un ottantenne finlandese che sembrava Babbo
Natale, con un enorme zaino rosso sulle spalle magre: nonostante l’età se ne
andava in giro per il mondo, con il suo sguardo azzurro e puro da ragazzo.
In Costarica, tanti anni fa, sono stata ospitata
per 7 mesi da una donna che per me rappresenta l’emblema stesso dell’accoglienza
e della generosità. Ci aveva presentati un amico comune e lei subito ci aveva
accolti dicendoci: “Mi casa es tu casa”. Si chiamava Dona Carmen, era una professoressa
vedova che aveva adottato due figli di una sorella e una figlia di una cugina
morta in un incidente. E cani, galline e una pappagalla di nome Lorita. E noi
stranieri in viaggio, con l’arte nel cuore.
Sette mesi in questa grande
famiglia sorridente, scambiandoci a turno regali culinari, in una villetta con
il patio fitto di piante tropicali. Quando c'era un improvviso acquazzone Lorita
cantava una sua canzone stravagante a squarciagola stropicciandosi le piume
colorate, felice di quel regalo del cielo. Ancora me la ricordo quella canzone...
Sette mesi di pura amicizia e
armonia, in cui mi sono sentita accolta, al sicuro. Mi sono sentita a casa.
Su quella bellissima esperienza
ho scritto tempo fa queste due poesie:
Nell’Arca
eravamo in tanti
Carmen la matriarca
e i suoi figli adottati
una nipote orfana
un pappagallo
le galline
tre cani
cucarachas svelte nella notte
umida di tropico
e noi due viaggiatori
trasognati
pulizia incerta
polvere dappertutto
il bagno era giallo canarino
non funzionava lo sciacquone
quando pioveva
in gocciole immense
tutti ridevamo di allegria
la pappagalla Lorita
in giardino
a cantare la sua canzone
anche noi cantavamo
Dona Carmen i suoi inni sacri
io ninne nanne
anticipate
per abituarmi all’idea
eravamo una famiglia
mai
neppure un momento
mi sono sentita straniera
lontano
anni luce
era il dolore.
*******************
Robusta pena
separarsi dalla casa
l’ultimo saluto
a tutti
dietro la riga gialla
lato partenze
gratitudine tanta
da gonfiare gli occhi
in un pianto di ore
a Panama
fra un volo e un altro
vedevo le loro facce
una a una
le ho ricordate
sorelle e fratelli
una madre
animali buffi
un pappagallo pettegolo
imitatore di starnuti
gli stormi al tramonto
i pomeriggi d’amore
il binario morto
che portava all’Università
i prati
come in un film
la parola fine.
Nessun commento:
Posta un commento