mercoledì 8 aprile 2015

IL VIOLINISTA E LA MONACA ZEN (ci sono luoghi e incontri che chiedono di essere raccontati)



C’era una volta un Violinista.

Era minuto, aveva gli occhi scuri e i capelli riccioluti raccolti in una coda. Rassomigliava vagamente a Mozart e sembrava senza età. Ma, a guardarlo bene, si poteva intuire, dalle striature bianche fra i capelli e dagli impercettibili solchi ai lati della bocca, che non era più giovanissimo, anche se lo sguardo puro e profondo e il sorriso erano quelli di un ragazzo. Ma si intuiva anche, attraverso qualcosa che emanava dalla sua figura, dai suoi gesti, dal tono della voce, che la sua era un’anima antica, che molto aveva visto e conosciuto, vita dopo vita.

Il Violinista era stanco. Per anni aveva viaggiato in continenti e isole lontane e ora aveva bisogno di un riparo per il corpo, la mente e il cuore. Decise di partire e andò ai piedi di una montagna, in un piccolo eremo abitato da persone calme e gentili. Il cibo era semplice e saporito, le stanze erano arredate con mobili di legno sobri ed essenziali. All’esterno pendii verdi, alberi da frutto e, in lontananza, il Ghiacciaio a vigilare. Era un luogo di pace dove potersi raccogliere e fare spazio dentro di sé. Il Violinista ci si trovava bene, finalmente lontano dai tumulti e dalla confusione della città. Nell’eremo arrivarono tre Monache Zen. Erano gioiose e sorridenti e, al loro cospetto, tutti si sentivano sollevati e sereni. La più anziana aveva il dono della Pazienza e della Saggezza, quella di mezzo il dono della Gentilezza e della Commozione, la più piccola, che si chiamava Lien, il dono della Grazia e della Bellezza. Al mattino, dopo il Canto e la Meditazione, sorella Lien guidava dei semplici esercizi di risveglio del corpo. Così piccola di statura poteva essere scambiata per una bambina di dieci anni, ma appena si muoveva, piegandosi avanti e indietro, flessuosa come un giunco, od oscillando sui piccoli piedi a destra e sinistra, in una specie di danza che ritmava con suoni dolci e decisi nello stesso tempo, aveva la sensualità di una donna esperta nei gesti d’amore. Eppure era vestita di una semplice tunica marrone, nessun ornamento e la testa rasata, ma le sue movenze, il suo sorriso, la sua leggerezza, colpirono profondamente il Violinista. Ma era un’attrazione diversa da quella che di solito provava per le altre donne. Era qualcosa che andava al di là delle parole e dei sensi, un incontro con la Bellezza allo stato puro, (distillata in quella piccola Monaca in maniera perfetta) in una dimensione sublime e rarefatta, angelica e umana nello stesso tempo. Il Violinista propose alla Monaca anziana di accompagnare al violino Lien nel canto del mattino. 
La Monaca si rivolse alle sue consorelle con sguardo interrogativo: la mediana si limitò ad annuire, Lien si schermì ridendo e facendo brillare di curiosità i piccoli occhi a mandorla. Ma accettò, arrossendo lievemente. E il Violinista suonò, mentre Lien cantava, un canto dolce che strappava l’anima ed evocava il verde tenero delle risaie e dei campi di tè. La Monaca anziana si accovacciò fra la Musica e il Canto. Doveva vigilare che non ci fosse troppa vicinanza fra i due. E il Violinista seppe mantenere la distanza. Ma la Musica e il Canto si unirono nell’aria e salirono su su in alto, fino a toccare l’azzurro più puro e incontaminato e diventare una cosa sola.

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