La mamma e il papà salirono sulla
macchina. Dal finestrino aperto la mamma le dette un ultimo bacio: “Torniamo
presto, sta’ tranquilla, staremo via solo qualche giorno. E potrai giocare con
Bibi, vedrai ti troverai bene”.
Caterina rientrò in casa e si sedette su
una sedia in cucina. Barbara stava impastando gli gnocchi sul tavolo di marmo.
Le sue mani piccole e grassocce, incrostate di patate e farina, erano
velocissime a trasformare quella massa morbida e informe in serpentelli fini
che tagliava con il coltello in minuscoli rettangoli e poi, con un tocco
lieve, faceva scivolare sul dorso di una forchetta creando dei piccoli solchi.
“Così il ragù può penetrare e condirli
meglio” disse Barbara con un sorriso. Ma Caterina aveva la faccia seria.
“Su Bibi, andate in cameretta, così
potete giocare un po’ prima di pranzo.”
Caterina seguì a malincuore Bibi e si
sedette sul bordo del letto. La stanza era in penombra. Faceva caldo. I mobili
erano dozzinali, di finto legno. In un angolo c’era una scrivania di teak e
ferro, con una gamba zoppa e un mattone
rosso che cercava di bilanciarla. Ma dondolava e non ci si poteva appoggiare sopra.
Bibi si era sdraiato a pancia in giù sul pavimento e giocava con i soldatini
che aveva sistemato all’esterno di un fortino. Più lontano aveva messo gli
apaches e i cavalli.
“Io sono una femmina, non mi piace
giocare agli indiani” lei disse sottovoce, come a scusarsi.Bibi sospirò, come un grande. Aveva i pantaloni corti e un paio di sandali di cuoio che gli stavano piccoli, il secondo dito del piede spuntava fuori di qualche centimetro. Caterina lo stava guardando.
“Ho il piede etrusco. Ce l’hanno le persone aristocratiche, è un segno di nobiltà L’ho letto sul libro di storia” disse Bibi,orgoglioso.
Caterina non rispose. Bibi le faceva un
po’ pena. Era goffo e aveva lo sguardo spiritato. Aveva sentito dire dalla
mamma che Barbara si era separata dal marito quando lui era molto piccolo e che
adesso aveva un amante. Un ex pugile un po’ suonato, amico del papà. Che aveva
moglie e figli e le passava un piccolo assegno mensile. Insomma Barbara era una
“mantenuta”. Quella parola le suonava misteriosa e strana. Caterina non la
capiva. Il padre di Bibi viveva in campagna e non aveva più voluto vedere suo
figlio.
Che ci faceva adesso lei in quella casa
con quel ragazzino strano e quella donnetta dimessa che impastava gnocchi? I
suoi erano dovuti andare all’improvviso al Nord perché la nonna era stata
ricoverata all’ospedale e aveva bisogno di assistenza. Genesio, il pugile
suonato, aveva detto al papà che la sua donna sarebbe stata contentissima di
ospitare la bambina.“ Vedrai, la tratterà come una principessa.”
La mamma prima di andarsene le aveva preparato una piccola valigia. Dentro ci aveva messo anche Regina, la bambola africana, ma Caterina si era vergognata a
tirarla fuori. Aveva sistemato le sue cose in un cassetto, ma Regina no, l’aveva tenuta nascosta. Se Bibi l’avesse vista sicuramente l’avrebbe presa in giro.
Infatti. “E tu con che cosa giochi? Alle bambole?” Bibi aveva la faccia strafottente e triste nello stesso tempo.
“Qualche volta, ma non sempre”.
Caterina pensò che nella stanza c’era un letto solo. E che d’estate lei era abituata a dormire solo con le mutandine.
Era un pensiero che la preoccupava.
Entrò Barbara pulendosi le mani sul
grembiule. Aprì un cassetto del comò e tirò fuori una coppia di lenzuola
bianche e due federe.
“Bibi, cambia le lenzuola e metti le
federe ai cuscini. Dormirete uno a capo e l’altra a piedi. Va bene no,
Caterina? Tanto siete magri. Per qualche giorno verrà Genesio a stare qui. Sta
facendo un lavoro da manovale da queste parti. Sennò Bibi poteva dormire con me
nel letto matrimoniale.”
Barbara aveva accennato una specie di
sorriso, ma si vedeva che era imbarazzata.
Caterina pensò che Barbara era gentile.
E che le faceva pena anche lei. Forse più di Bibi.
Gli gnocchi erano buoni, anche se il ragù era un po’ troppo liquido. Bibi mangiava con avidità, inforcando le posate senza grazia. Ma Caterina non aveva fame. Scostò il piatto.
“Basta così, grazie.”
“Vuoi una pesca, una banana? C’è un
pezzo di anguria che ha portato ieri Genesio. Ti va?”
Caterina scosse la testa. Uscì sul
balcone mentre Barbara lavava i piatti. C’erano due piante di geranio
rinsecchite, una piantina di basilico e un cactus impolverato. Appoggiato in un
angolo, un barbecue con una griglia arrugginita e un po’ di carbonella. Un pino
storto ombreggiava il cortile e dai cespugli di oleandro rosa saliva il frinire
delle cicale.
Il caldo era insopportabile.
Caterina si sedette su una sedia di
plastica aspettando che il tempo passasse.
Bibi arrivò con una pila di giornalini e
si accovacciò per terra con la schiena appoggiata al muro, sotto il vano della
finestra. Lei prese a sfogliarne uno. Era la prima volta che guardava un
giornalino da maschi. Meglio di niente. In un fumetto c’era uno sceriffo che
con due pistole faceva secchi indiani e banditi. Bang bang. E un saloon dove i
cow boys si andavano a ubriacare di scotch e di tequila.
Era una storia stupida.
Lei aveva finito di leggere da qualche
giorno “ Piccole Donne”. La sua sorella preferita era Jo, l’aspirante
scrittrice, quella che a un certo punto si fa tagliare i capelli per venderli e
portare qualche soldo a casa. Ecco, lì Caterina si era commossa. E anche
immedesimata molto. Lei non ce l’avrebbe mai fatta a sacrificare la sua coda di
cavallo. Ci aveva messo più di un anno a farsela crescere. Insomma Jo era stata
veramente coraggiosa. Invece i personaggi di quei fumetti in bianco e nero non
le suscitavano nessuna emozione.
Niente.Chissà se Bibi aveva mai letto un libro vero?
La mamma e il papà leggevano molto: il
papà leggeva dei libri polizieschi dalla copertina gialla, la mamma aveva
comprato una serie di romanzi americani dalla copertina verde che teneva ben
allineati su un piano della libreria. In quella casa invece non c’era traccia
di libri, di nessun colore. Non c’era nemmeno un libreria. Solo giornalini e
rotocalchi femminili accatastati in un portariviste di rafia accanto alla
televisione.
Dal campanile della chiesa si sentirono
tre rintocchi cupi.
Il pomeriggio era appena cominciato.“Bibi vieni ad asciugare le posate!”
Bibi si alzò controvoglia, con i suoi piedi etruschi scalzi.
Caterina rimase da sola, a guardare il
pino storto, il cortile deserto e un’ape che ronzava appoggiata su una spina
del cactus. Restò per un po’ a osservarla. Chissà se ce l’avrebbe fatta a
staccarsi da lì, forse la spina l’aveva ferita. Invece l’ape riprese a volare e
andò a posarsi sull’inflorescenza bianca del basilico.
Il campanile fece un solo rintocco. Le
tre e mezzo. Dalla finestra di fronte si sentiva un televisore. O forse era una
radio. Trasmetteva la cronaca di una corsa automobilistica. Un vecchio dormiva a bocca aperta su una poltrona di pelle.
Un cane abbaiava.
Un aereo solcò il cielo lasciando dietro di sé una lunga scia bianca.
Non c’era neanche una nuvola.
Caterina non si era mai accorta prima di quanto potesse essere lungo un pomeriggio d’estate.
E di quanto le mancasse la scuola.
Per consolarsi pensò che la nonna del
Nord sarebbe guarita presto e i suoi genitori sarebbero venuti a prenderla
prima di quanto sperasse.
E pensò anche che quella notte avrebbe
indossato la maglietta rosa con la Sirenetta e si sarebbe rannicchiata, piccola
piccola su un fianco, cercando di non intrecciare le sue gambe a quelle ossute
di Bibi.
Forse avrebbe tirato fuori dalla
valigia la bambola Regina. Così. Per tenersi compagnia.
Quei pochi giorni sarebbero passati in fretta.
Anzi.
Sarebbero volati.