lunedì 26 giugno 2017

L'ARTE DI CHIEDERE


Mi ispiro all’interessante articolo di Annamaria Testa, uscito su INTERNAZIONALE, (https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2017/06/27/ottenere-saper-chiedere) sull’arte di chiedere. E’ vero, chiedere può esporci al rischio di sentirci rifiutati e alla frustrazione di non essere  presi in considerazione. Ma è anche vero che chiedere  ci apre e ci permette di entrare in relazione con le altre persone.
A pensarci bene io sono una persona che chiede molto e che spesso ha ottenuto quello che chiedeva. L’ingrediente principale, nell’atto di chiedere, è a mio avviso la fiducia. Subito dopo viene la curiosità. Io so che il mondo è pieno di belle persone e di risorse alle quali attingere. Non ho paura di perdermi per la strada, di rimanere senza soldi o senza un riparo e neanche senza una parola di conforto nei periodi  bui. So che nel momento in cui chiedo, in qualche modo misterioso l’Universo si mette al mio servizio, fornendomi le cose di cui ho bisogno. Qualcuno la chiama provvidenza, qualcuno abbondanza, qualcun altro legge di attrazione. A me piace la prima definizione, perché me l’ha insegnata mio padre.
Lui, che sosteneva di essere ateo, credeva nella Provvidenza, con la P maiuscola L’ho visto decine di volte, in momenti molto difficili, materializzare letteralmente denaro, case, aiuti di tutti i tipi, che lo hanno sempre tirato fuori dagli impicci e dalle emergenze. Non l’ho mai visto, a differenza di mia madre, che invece sprofondava nella più profonda inquietudine, preoccuparsi più di tanto, e ogni volta, con il sorriso sulle labbra, lo vedevo risolvere problemi apparentemente irrisolvibili. Come? Chiedendo, aiuto, sostegno, amicizia, collaborazione, consigli, ospitalità, lavoro...  Sempre con grande dignità, gentilezza e gratitudine. Ma tutto questo avveniva i due direzioni. L’ho visto a volte tornare a casa senza camicia o maglione, una volta, d’estate, senza scarpe. Lui era fatto così, se qualcuno aveva bisogno, lui dava, dava. So di persone che ha accompagnato a Roma all’Ospedale perché non avevano i soldi per un taxi, di altre a cui ha prestato l’automobile per giorni e ricordo che l’ultimo Natale che abbiamo passato insieme si è presentato a pranzo con un barbiere disoccupato appena arrivato dal Belgio, senza bagagli e senza una lira. Dopo mangiato, mio padre, con gentilezza e garbo gli ha riempito una piccola valigia di abiti e biancheria e poi , senza farsi vedere da noi, per non umiliarlo, gli ha dato una busta con del denaro. Ho preso da lui questa atteggiamento di  fiducia nel genere umano. E credo che sia stato il dono più grande che mi ha lasciato. Questo dono mi ha permesso di viaggiare in giro per l’America Latina, per un anno e mezzo, trovando amici, ospitalità, cure nel momento del bisogno. Mi sono sempre sentita al sicuro, protetta, al riparo, in questa grande famiglia che è la famiglia umana. Posso sembrare un’idealista, so che al mondo esistono brutture, ingiustizie, guerre ( nell’81 mi sono ritrovata in Guatemala dove c’era una guerriglia terribile), ma la mia fiducia non si è mai spezzata.
E quando mi sento sola o triste chiamo gli amici e le amiche che ho sparsi un po’ dappertutto e che, anche se non ci vediamo spesso, riescono a darmi il conforto di cui ho bisogno. Ma anche io ci sono per loro, in uno scambio proficuo, di attenzioni, ospitalità, chiacchierate, piccoli regali,improvvisate, confidenze, risate, affetto. Perché l’amicizia va coltivata e protetta, ben tenuta al riparo dal’ovvietà, dalla routine, dalla trascuratezza. Come tutte le relazioni. Nel portafoglio di mio padre, dopo la sua morte improvvisa a seguito di un incidente automobilistico, abbiamo trovato la ricevuta di un vaglia che molti anni prima gli aveva spedito il suo grande amico Luigi, in un momento difficile, con la scritta “Trovare un amico est trovare un tesoro”. Ecco, chiedere vuol dire anche provare gioie di questo tipo. E conservare per anni un pezzetto di carta sgualcita che ci ricordi cos’è l’amicizia e ci riempia il cuore di gratitudine.

martedì 20 giugno 2017

DOPO LA NOTTE (due poesie)






Dopo il vagare della notte

In voli siderali

Di cui resta un vago sapore

È inutile cercare di ricordare il sogno

Lui è ancora lì

Nella spossatezza

Che ci tiene

E ci vorrebbe acciambellati

Nel letto

Come gatti

Oppure far finta di dimenticare
Entrando a testa alta
Nella mischia delle ore

Quel tempo eterno

Senza orologi

Che abbiamo attraversato

Con il corpo pesante abbandonato

E la mente leggera che volava

Si è rappreso

Come sostanza nuova

Che ora ci appartiene

E siamo più ricchi ora

E più sapienti

Con un vapore dentro

Screziato d’oro

Che scolora









Il filo della notte

Tiene ancora cucite le mia ciglia

Solo squarci di luce

Come pozze

E il caldo della pelle

Dopo il sonno

Quasi a rabbrividire

Pian piano mi riportano

Nel giorno

Ma i passi sono lenti

Come di vecchia stanca

E la testa è ovattata di bianco

Uno stupore di domanda

Blanda

Dove sono?

Ripasso i gesti

Uno a uno

E abbraccio uno schedario

Di consuetudini

Come volume antico

E polveroso

Si tratta di ricomporre

Le parole strascicate

Che vengono alla mente

E accarezzarle lente

Grata dell’alfabeto

Che riappare luminoso



Ogni mattina imparo

Il gioco del mondo

















































                                                            

lunedì 12 giugno 2017

OGGI HO RIVISTO UN AMICO



Oggi ho rivisto un amico, dopo più di un anno. Non vive più qui e raramente si riaffaccia, per venire a trovare i suoi affetti. Ed evidentemente fra i suoi affetti ci sono anche io. Ma a pensarci bene non siamo amici nel vero senso della parola. L’ho conosciuto perché avevo bisogno di qualche lavoretto di manutenzione da fare a casa. A quei tempi era molto silenzioso, un pesciolino fuor d’acqua, quasi muto, quasi uno straniero. Lui è del nord ma ha viaggiato molto. E’ una persona semplice e nello stesso tempo molto profonda, umile e generosa. Ha scelto la libertà e vive in un modo che molti considerano bizzarro. Io no. Ha una rara qualità: la gentilezza. Quando sorride ti si allarga il cuore, perché il suo è un sorriso autentico, sincero, che nasce dall’anima, puro come quello dei bambini. M. non è attaccato ai soldi. A lui per vivere basta poco, non ha bisogno di cose superflue, oggetti, vestiti costosi, apparecchiature sofisticate. Ripeto, è uno semplice. Un buono, un mite, un essere un po’ speciale. E io gli sono grata. Per avermi aiutata, in cambio di pochi soldi, quando ne avevo bisogno. E per avermi abbracciata stretta stretta il giorno in cui mi ha aiutata a traslocare i mobili di mia madre da me per darle l’impressione di sentirsi a casa, sapendo che ci sarebbe stata al massimo per due mesi, perché stava per morire. E io stanca e provata sono scoppiata a piangere, un pianto disperato di solitudine e tristezza. E gli sono grata perché quando mi vede  mi chiede come sto e come sta mia figlia e  vuole  vedere le foto del mio nipotino. Ed è sincero e gli brillano gli occhi. E anche perché lo trovo un po’ ingrassato e vuol dire che mangia bene e si sta prendendo cura di sé, e profuma di buono. Caro M. verrò a trovarti un giorno nell’ isola dove vivi ora, piccola piccola e verde, avevi bisogno del verde, per riposare, in quella casa di pietra che hai costruito a mani nude, agile e svelto come uno stambecco, senza mai lamentarti per la fatica, e mangerò l’insalata del tuo orto. Semplice la tua vita e bella, e di bellezza e semplicità abbiamo tutti bisogno. Grazie per essermi amico.