93 minuti intensi, girati col
cuore e la volontà di capire. Questo traspare, a mio avviso, dalla visione di
questo film http://www.mymovies.it/film/2017/walk-with-me-il-potere-del-mindfulness/su Thich Nath Hanh e la comunità monastica che vive con lui a Plum
Village, il monastero fondato negli anni ’80, in seguito all’esilio dal Vietnam
di questo monaco poeta, che tanto si è impegnato per la pace da essere proposto
da Martin Luter King per il Premio Nobel. Il film documentario è il risultato di
3 anni di incontri a Plum Village. I
registi seguono poi i monaci e Tich Nhat
Hanh in un viaggio on the road in USA e
nelle visite che i monaci fanno saltuariamente alle proprie famiglie. Immagini
di vita quotidiana all’interno del monastero, semplici, essenziali, sincere:
cerimonie, rituali, sessioni di meditazione. E lo scorrere delle stagioni con
una natura incontaminata e splendida intorno al monastero, la semplice allegria
e giocosità di monaci e monache, la loro umanità, senza maschere (a volte mi
annoio a fare le stesse cose, dice una giovane monaca addetta alla cucina, un
monaco sbadiglia e si stropiccia gli occhi durante la meditazione del mattino).
Persone come noi, che hanno scelto questo cammino, di pratica della presenza
mentale. Rasarsi al mattino, bere una tazza di the, stare al computer facendo
una traduzione, cercando le parole giuste, proprio quelle e non altre: azioni semplici
e solenni perché fatte con cura, attenzione e consapevolezza, anche quelle più
banali. E tutto diventa quindi un’occasione di pratica, tutto: mangiare in
silenzio, camminare lentamente sotto la pioggia, sistemare i cuscini per la
meditazione, giocare su un carrello con le ruote. E lui, l’anziano Maestro, umile e maestoso
nella sua semplicità che diventa bellezza. Sorride con quei suoi denti radi,
come chicchi di riso, un sorriso infantile, puro, e all’aeroporto osserva un pupazzo
di peluche che si rotola e ride. Attento e incantato come un bambino. E poi gli
incontri nelle carceri: ma voi fate sesso? Domande provocatorie al monaco
americano che non si scompone e dice di essere felice così, senza soldi, senza
auto, senza una casa propria, senza oggetti che non siano quelli della semplice
sussistenza. L’incontro dei monaci con le proprie famiglie è straordinariamente intenso. Gli abbracci, la
gioia del ritrovarsi e di guardare un album di foto. E quella di veder piangere
per la felicità un anziano padre in ospizio e di rassicurarlo dicendogli:
respira, questa è gioia, riconoscila, calma il respiro, io sono qui per te.
Poesia. E alla bambina che dice a Tich Nath Han di soffrire per la morte del
suo cagnolino, lui con semplicità, parlandole della nuvola che si trasforma in pioggia
e del the che le contiene entrambe, riesce a farle una lezione
sull’impermanenza e la bambina cambia espressione, si sente finalmente
rassicurata e pacificata. Tutto questo intervallato da immagini di
straordinaria bellezza, albe, tramonti, campi di girasoli, stormi di uccelli,
di una natura pulsante e maestosa, e la voce del Premio Oscar Benedict
Cumberbatch che legge brani da un diario di Thich Nath Hanh degli anni ’60.
Senza mai cadere nella retorica o nella celebrazione. Non è un film che voglia
dimostrare qualcosa (il Buddismo aiuta a stare meglio, calma la mente ecc), ma che semplicemente prova a mostrarci un modo di vivere che, se lo vogliamo, possiamo
imparare anche noi, tutti, qualunque sia la nostra religione, tornando
all’attimo presente, che è l’unico che abbiamo a disposizione (il passato non
esiste più e il futuro non ancora...). Dovremmo solo avere la pazienza e la
cura ogni tanto di fermarci e di riconoscere quello che sta accadendo in questo
preciso momento e renderci conto che la vita scorre dentro di noi, adesso e, se
siamo presenti, può rivelarci le sue infinite meraviglie.