Se ci ripenso mi viene un
brivido. Ma non è un brivido di paura, è piuttosto un brivido di emozione, di
eccitazione. L’avventura. L’imprevisto. Il rischio. L’emozione. E tutto gratis,
senza bisogno di consultare orari, fare prenotazioni, preoccuparsi di scioperi,
code e ritardi. Mettersi sul ciglio della strada e con il pollice rivolto verso
l’alto, armate di pazienza e di un sorriso, aspettare un passaggio di un
automobilista gentile anche solo per pochi chilometri.
In almeno una decina
d’anni di viaggi in autostop, mai avuto problemi, a parte quella volta in
Sardegna, di cui poi racconterò. A volte i guidatori erano taciturni. E io e la
mia amica Lena, dopo aver accennato qualche frase di cortesia, rispettavamo
quel silenzio e poi un saluto svelto, un grazie, fino al passaggio successivo.
Altre volte invece, chi ci caricava su lo faceva per non sentirsi solo e magari,
in un’ora di viaggio, ci raccontava tutta la sua vita. E noi incuriosite e attente ascoltavamo storie complicate o semplici, di amori, figli, lavoro, rimpianti, sogni.... E poi c’erano i guidatori curiosi, che ci facevano
domande su domande guardandoci nello specchietto retrovisore: "Non avete paura,
due ragazze così giovani... e se incontrate qualche malintenzionato? E i vostri
genitori cosa dicono? I vostri padri?" E noi che da poco avevamo perso entrambe
il padre, raccontavamo che le nostre madri erano moderne e soprattutto avevano
fiducia in noi che eravamo ragazze prudenti. A volte i guidatori più generosi e gentili ci
offrivano la colazione o il pranzo. Un giorno un signore molto fine, (sembrava
un nobile di altri tempi) ci offrì un pranzo sontuoso a Modica, in un ristorante di lusso. Ricordo un particolare: i tovaglioli erano color lillà e anche le tende e i divani di velluto.
Qualcuno a volte ci dava indicazioni su dove passare la
notte. A Cagliari abbiamo dormito in una tipografia, eravamo un gruppo di 6 o 7 e ci sistemammo con i sacchi a pelo sul pavimento, molto grati al
giovane proprietario che ci ospitò per un paio di notti. A Cosenza dormimmo
sulle panche di legno della sala d’aspetto della stazione. Il capostazione ci
chiuse a chiave, per la nostra protezione, disse, e dormimmo beate per tutta la
notte. In Basilicata dormimmo in una villetta in costruzione. Non c’erano
ancora le finestre e ricordo il profumo di macchia mediterranea che ci inebriò
al’alba. I più gentili, anche se apparentemente i più burberi, erano i
camionisti. Per loro, poter fare un viaggio in compagnia, era un modo per
evitare i colpi di sonno, dopo ore e ore al volante. Stare nell’abitacolo,
accanto al guidatore, così in alto ci dava una bella sensazione di potenza e di
forza; le macchine viste da lassù
sembravano scatolette e noi sui nostri Tir ci sentivamo protette, al sicuro, e
ci chiedevamo come potesse essere guidare un mezzo così grande. Una volta viaggiammo su un camion che trasportava latte. All’interno c’era un rubinetto e
ogni tanto il nostro camionista ci offriva un bicchierone di latte freddo,
che, data la situazione, non ci sentivamo di rifiutare, anche se io ero
piuttosto intollerante al lattosio. Nel marzo1979, durante uno dei viaggi memorabili
che feci in autostop, insieme al mio ragazzo greco e a un'amica (Firenze, Parigi, Amsterdam, Londra, in soli 15 giorni), ci caricò sul suo Tir un camionista inglese,
John, con suo figlio di 12 anni. Ci alternavamo a riposare nella cuccetta sul retro, molto comoda, ci si stava in due, e il viaggio, fino a Parigi andò
liscio come l’olio. John era rosso di capelli, lentigginoso e corpulento e
aveva l’aria gentile. Alla periferia di Parigi il camion andò in panne. E John non aveva i soldi sufficienti per lariparazione. Glieli prestammo noi. Era una
bella cifra. Lui ci scarabocchiò
su un pezzetto di carta il suo indirizzo e ci
disse che al nostro arrivo a Londra ce li avrebbe restituiti. Noi continuammo
il nostro viaggio, ricordo il vento freddo e il nevischio ghiacciato sulla faccia.
Dopo Parigi, dove fummo ospitati a Montparnasse da Jeanne, la nipote di
Marguerite Duras, passammo molte ore sull’autostrada verso i Paesi Bassi, senza
che ci prendesse su nessuno. Si fermò una pattuglia della polizia che ci dette
un passaggio fino alla città più vicina, dove trovammo un piccolo ostello
economico per la notte. Ad Amsterdam invece ci ospitò una coppia di amici,
Marilena e Jan, lei veneta e lui
olandese, che avevamo conosciuto in Grecia. Arrivati a Londra andammo a cercare
John. La sua villetta era in un quartiere popolare, molto lindo, con piccoli
giardini e staccionate bianche. Ci aprì la porta la moglie di John, mentre un
numero considerevole di bambini in pigiama, forse 4 o 5, fra i quali una coppia
di gemelli, stava per andare a letto dopo il bagno. Erano solo le 6 di sera e
la cosa ci stupì alquanto. John era in viaggio con il figlio più grande. La
moglie ci fece accomodare e dopo averci offerto un bel tè bollente, ci dette
una busta con i soldi e una frase di ringraziamento da parte di John. E’ uno di
quei ricordi dolci: la casa con il parquet di assi lucidate a cera, l’odore
buono dei bambini, la stufa di ghisa, i capelli biondi e spettinati della
moglie di John, la sua gentilezza...Spero che abbiano avuto tutti una vita
felice. Che strano, ci si incontra, per il tempo di un viaggio e dopo
quarant’anni si ripensa a quelle persone con dolcezza e un po’ di nostalgia.
Per un brevissimo tratto abbiamo avuto modo di incrociare le nostre esistenze e
tutto questo diventa un piccolo seme di tenerezza e di gratitudine che ogni
tanto fiorisce e ci scalda il cuore.
Ma quella volta in Sardegna fummo
sprovvedute.
Di solito non accettavamo passaggi se a bordo c’erano due uomini.
Ma dovevamo rientrare all’Ostello di Arzachena
dove ci stavano aspettando per la cena, ed eravamo in ritardo. Accettammo il passaggio da parte di
due ragazzi, uno, lo ricordo, era molto scuro, gli occhi a mandorla, il più
gentile dei due, l’altro piccolo, con gli incisivi sporgenti, biondo e
l’espressione strafottente. Si misero a parlare in sardo. Io, che avevo fatto
le elementari in Sardegna, capii quello che si stavano dicendo: stavano
escogitando qualcosa. L’autista, il moro, deviò improvvisamente per una stradina sterrata in
mezzo a querce da sughero e ulivi. La mia amica iniziò ad agitarsi, io a
gridare. Il biondo si girò verso di me e allungò una mano. E lì mi venne un
lampo di genio: inventai che ero malata di nervi e che stavo per avere una crisi e
iniziai a urlare come un’indemoniata. Il moro, piuttosto preoccupato, disse
qualcosa all’amico e aprì lo sportello della macchina. Riuscimmo a scappare, ma
i due non provarono neanche a inseguirci. Brutto spavento e grande insegnamento
per il futuro: mai più passaggi se non da coppie, donne o uomini soli. E la
brutta avventura rimase solo un ricordo. L’ultimo autostop l’ho fatto alla fine
degli anni settanta. E credo che quella sia stata la fine di un’epoca per tutti
gli amanti dell’autostop. Ma, a pensarci
bene, mi era rimasta una certa nostalgia. E qualche anno fa, a Itaca con un
amico ho voluto rifare l’esperienza.
Lui, vent’anni più giovane di me, non
l’aveva mai fatto e, per la prima volta, si è messo sul ciglio della
strada con il pollice sollevato. Ed è stato bello parlare con le persone
gentili che ci davano un passaggio, scoprire itinerari non previsti o non
segnati sulle mappe, liberi, senza problemi di orario. Sapevamo solo dove
volevamo arrivare ma non eravamo condizionati dal tempo. E visitare la bella
Itaca così, alternando autostop e lunghi percorsi a piedi, spesso in silenzio,
in mezzo a quella natura profumata di origano e mentuccia e al frinire
chiassoso delle cicale, è stata un’esperienza che mi porterò nel cuore.
Viaggiare a piedi, ecco la mia prossima sfida, chissà, il Cammino di Santiago o
in giro per la Basilicata,
o semplicemente percorrere il pezzo di Via Francigena che passa dalle mie
parti. Questi sono i viaggi che preferisco: libertà, natura, avventura,
semplicità, silenzio, lentezza. Chissà cosa penserà il nipote che mi nascerà
fra meno di tre mesi, di questa nonna così stramba!
Se potessi fargli un dono,
come una delle fate gentili di Cenerentola, gli regalerei l’amore per i viaggi,
la curiosità per il nuovo e uno sguardo puro e incantato di meraviglia che lo
accompagni per tutta la vita.
Bel racconto, come al solito, e nutrimento per l'anima, specie per chi, come noi, si avvia verso l'età adulta... ;)
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