domenica 17 maggio 2015

SORPRESE DI VIAGGIO



Amo i treni regionali. O gli intercity, quei pochi che sono rimasti. Non amo le varie frecce, anche se devo riconoscere che la loro velocità mi permette di arrivare da Roma a Firenze in un'ora e mezzo. Ma non è per me un tragitto piacevole. Perché i sedili sono stretti, gli spazi angusti e mi tocca stare a una distanza molto ravvicinata con i miei compagni di viaggio, quasi sempre assorti a parlare, spesso a voce alta, al cellulare o intenti a scrivere qualcosa sul loro portatile oppure a fare dei giochetti rumorosi. Non ci si parla più sui treni ( a parte, qualche volta sui regionali) e non ci si scambiano più i giornali, in un baratto gentile che in qualche modo ci avvicinava e ci costringeva a sorriderci e a ringraziarci. Non si guarda più fuori dal finestrino
(io sì) perchè troppo assorti nel mondo virtuale. Persino i controllori, che passano sempre meno, sono più frettolosi e distaccati. Non sono un’anziana signora nostalgica dei treni a vapore, ma penso che non sempre la velocità sia qualcosa di positivo in assoluto. C’è stato un periodo, da giovane, quando ero ancora studentessa, che andavo spesso da Firenze a Parigi in pullman. Era un viaggio lungo e scomodo con solo tre o quattro tappe in qualche autogrill. Ci fermavamo ad Aosta, a Lione e in un’altra città che non ricordo. Guardavo dal finestrino il paesaggio cambiare, rimanevo incantata dai piccoli borghi aggrappati sui fianchi delle colline, dalla campagna che cambiava colore, dai fiumi, dalle case cantoniere, dalle montagne innevate. Mi addormentavo rannicchiata sul sedile e al mattino, quando arrivavamo a Parigi, a Place Stalingrad, ero stropicciata e assonnata e mi ci voleva subito un bel caffé, che non potevo certo pretendere fosse come l’espresso italiano, ma comunque mi faceva aprire gli occhi. In uno di questi viaggi una volta mi è successa una cosa bizzarra. In fondo al pullman c’era una tendina con dietro una cuccetta per il secondo autista. Mi accorsi che era vuota e andai a coricarmi. Caddi in un sonno profondo. A metà notte mi svegliai di soprassalto: un uomo si stava sdraiando nella cuccetta, dalla parte opposta a me. Io feci per alzarmi, ma lui mi disse in francese di non preoccuparmi, c'era spazio per tutti e due. La mia innata fiducia nel genere umano, mista alla stanchezza, mi fece decidere in un nano-secondo di restare. Non siamo soli, pensai, e alla prima avance potrei gridare. Ma sapevo che non ce ne sarebbe stato bisogno. Mi svegliai al mattino, dopo un sonno ristoratore. L’autista ancora dormiva e mi accorsi che mi teneva  una caviglia. Tutta la notte così, con la mia caviglia in mano, come un bambino che tiene la mano della mamma. Mi fece tenerezza e dolcemente mi svincolai. Lui aprì gli occhi e mi disse con un sorriso “Bonjour Mademoiselle!”. E il suo sguardo era azzurro e gentile. Ecco, questo è uno di quei ricordi che mi scaldano il cuore.

Nessun commento:

Posta un commento