Settembre 1992.
La bambina ha
appena compiuto 10 anni.
E’
abbronzantissima, sembra quasi una zingarella, con quei capelli spettinati e i
denti bianchi.
Siamo cariche di
bagagli: zaini, sacchi a pelo e una grande busta con regali e giocattoli. Perfino
una palla. L’espresso
Salonicco-Venezia è affollatissimo. Il nostro
scompartimento ha sei cuccette che tireremo giù per la notte. Gli altri
viaggiatori, due ragazze e due ragazzi, sono norvegesi. C’è un’afa
insopportabile, ci siamo portate solo una bottiglia d’acqua, per il mangiare
andremo nel vagone ristorante.
Il treno parte.
A Skopie salgono
parecchie persone che non hanno prenotato e si sistemano alla meglio per i
corridoi. Il capotreno fa salire tutti.
I bagni sono
intasati, manca l’acqua e dopo un po’ si spande per l’aria un odore acre di
latrina.
La bambina non
si annoia. Guarda fuori dal finestrino con occhi incantati, poi si mette a
disegnare con grossi pennarelli colorati, appoggiata sul ripiano estraibile. In
questo periodo disegna soprattutto principesse e fate con lunghi veli azzurri e
cavalli sghembi dalle zampe rettangolari. I colori sono vividi, brillanti,
fanno allegria.
Proviamo ad
andare nel vagone ristorante. Bisogna percorrere tutto il treno. Man mano che
camminiamo, i vagoni cambiano fisionomia: tappezzeria damascata bordeaux e
tendine di pizzo ai finestrini. E uomini con strani copricapo, che
rassomigliano a dei fez. Sembra quasi il carrozzone di un circo. Nell’aria c’è
una fitta coltre di fumo. Ma abbiamo fame e continuiamo a camminare facendoci
spazio fra sporte di paglia, bambini addormentati, madri con lunghe gonne
colorate e denti d’oro luccicanti. Il vagone ristorante è molto affollato. Non
c’è nemmeno una donna. Appena entriamo il brusio si interrompe per un attimo e tutti
ci guardano. Nessuno parla inglese e io nel mio greco approssimativo riesco a
ordinare una specie di zuppa di cavolo, bollente, che ci fa sudare ancora di
più. Mentre sto pagando, con la coda dell’occhio vedo che un uomo anziano si è
messo la bambina sulle ginocchia e le sta parlando in una lingua dal suono
dolce, quasi una cantilena. Mi avvicino, lei mi guarda preoccupata, sorrido e
la prendo per mano, poi saluto e ce ne andiamo. Mi tremano le gambe. Forse quel
signore voleva solo essere gentile.
Il treno si
ferma di continuo in piccole stazioni di campagna.
Il paesaggio è
dolce, collinare, con piccole chiese dai campanili aguzzi.
Sta scendendo la
sera. Nell’aria c’è una cappa pesante di umidità che ci fa sentire sporche a
appiccicose. Il bagno è sempre più impraticabile. L’acqua è finita. La bambina
ha di nuovo fame. E io anche.
Ripenso con
nostalgia al mare trasparente dell’isola e gli alberi fin sulla spiaggia e
per un attimo provo una sorta di refrigerio. Cinque settimane volate via, come
in un soffio. E’ stata una bella vacanza.
La bambina sta
giocando a scopa con una delle ragazze norvegesi, vedo che gesticolano e ridono,
non so proprio in che maniera misteriosa sia riuscita a insegnarle le regole
del gioco.
Entriamo
lentamente nella stazione di Belgrado. Mi viene un’idea: scenderò a cercare acqua,
panini e frutta, c’è tempo, il treno si ferma per mezz’ora. Riesco a comprare
tutto in un chiosco azzurro e spendo le ultime dracme.
Quando torno al
binario il treno non c’è più. Batticuore. Quasi mi manca il respiro.
Ritorno indietro
per vedere se ho sbagliato binario, no, è quello giusto, cerco di mantenere la
calma, non ho più un soldo, neanche i documenti, ho lasciato tutto sul treno.
Soprattutto mia figlia. Mi metto a piangere. Sulla pensilina vedo un uomo in
divisa. Fra le lacrime cerco di spiegargli in inglese quello che è successo.
Lui scuote la testa, non capisce. Allora gli parlo in greco, mai sono stata così
orgogliosa di parlare una lingua straniera. Lui mi sorride e mi risponde sempre
in greco: “Binario 9.” Il treno si è
spostato per riparare un piccolo guasto
alla locomotiva. Lo ringrazio mille
volte, gli butto un bacio con la mano e mi metto a correre. Arrivo esausta, il
cuore in gola, le gambe che quasi non mi reggono. Il treno è lì, mancano pochi minuti
alla partenza. Salgo trafelata. La bambina sta ancora giocando a scopa e mi
dice sorridendo: “Mamma, ho scoperto che
Babbo Natale abita in Lapponia, me l’ha detto questa signorina.” E mi
indica la ragazza norvegese .
“Brava,
tesoro, ma adesso la mamma cerca di riposare perché è un po’ stanca”.
Poi chiudo gli
occhi e non sento più la puzza, la stanchezza e il caldo
Sono felice.
Non mi manca
niente.
Su questo treno
c’è tutto quello che mi serve.
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