C’era una mucca,
bianca, con qualche chiazza marrone. Era una mucca triste, una mucca sola, in un
posto poco illuminato. La sua figura si componeva mettendo al posto giusto dei
cubi di cartone. Gli altri disegni a comparire erano quelli di una giraffa e di
un asino. E forse un’aia con delle galline. Non ricordo altro. Ci mettevo poco
ormai a comporre le immagini. Ma quella della mucca mi metteva un’infinita
tristezza. Adesso che ci penso forse è perché non era in un prato, al sole, ma
in un posto all’ombra e al chiuso. Forse era una stalla. E non c’erano altre
mucche.
Lei lì da sola. Avrò avuto al massimo due o tre anni e riuscivo già a provare empatia per un animale tenuto al buio, in solitudine. Ma cosa mi evocava quell’immagine? C’è una foto di me, molto piccola, in un cortile brullo, con un altro bambino che mi dà un bacio. Io sorrido, ma ho l’espressione triste. Sono appena uscita da un periodo di malattia e ho l’aspetto cagionevole. Come sfondo c’è un muro grigio e scrostato, sul quale si arrampica un ramo di glicine secco. E’ inverno e sembra, guardando quella foto, di sentire il gelo. Io indosso una gonnellina scozzese e un maglione di lana. Ho i calzini corti e delle scarpe bianche dalla punta arrotondata. Ecco, guardando quella foto io provo la stessa sensazione di sconfinata solitudine che provavo guardando quella mucca. Buio, freddo, squallore. Chissà, forse anche la mucca era stata malata, e ora la tenevano lì, lontana dalla famiglia, in convalescenza. Chissà, forse la mucca era in castigo, non era stata abbastanza brava, non aveva prodotto abbastanza latte, era una mucca ribelle. O forse la mucca era stata abbandonata, gli altri semplicemente si erano dimenticati di lei e se n’erano andati via, lontani. Questi erano i pensieri che mi passavano per la testa allora.
Lei lì da sola. Avrò avuto al massimo due o tre anni e riuscivo già a provare empatia per un animale tenuto al buio, in solitudine. Ma cosa mi evocava quell’immagine? C’è una foto di me, molto piccola, in un cortile brullo, con un altro bambino che mi dà un bacio. Io sorrido, ma ho l’espressione triste. Sono appena uscita da un periodo di malattia e ho l’aspetto cagionevole. Come sfondo c’è un muro grigio e scrostato, sul quale si arrampica un ramo di glicine secco. E’ inverno e sembra, guardando quella foto, di sentire il gelo. Io indosso una gonnellina scozzese e un maglione di lana. Ho i calzini corti e delle scarpe bianche dalla punta arrotondata. Ecco, guardando quella foto io provo la stessa sensazione di sconfinata solitudine che provavo guardando quella mucca. Buio, freddo, squallore. Chissà, forse anche la mucca era stata malata, e ora la tenevano lì, lontana dalla famiglia, in convalescenza. Chissà, forse la mucca era in castigo, non era stata abbastanza brava, non aveva prodotto abbastanza latte, era una mucca ribelle. O forse la mucca era stata abbandonata, gli altri semplicemente si erano dimenticati di lei e se n’erano andati via, lontani. Questi erano i pensieri che mi passavano per la testa allora.
Tempo fa ho
comprato un vassoio di legno con due manici, dal disegno naif. C’è una
mucca proprio nel centro, in mezzo a un
prato, con un cielo azzurro e intorno degli alberi fioriti. E’ un disegno
allegro e finalmente la mucca è al posto giusto e sembra contenta. Ma la prima
volta che l’ho visto, per un attimo ho riprovato una fredda sensazione di
solitudine e ho ricordato quel gioco in scatola, di cubi da comporre, quel gioco
triste di quando ero bambina.
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