Giornata
pigra, lenta. Domenica. Afa. Al mare senza andare al mare. Ma lo
posso vedere dalla finestra e oggi può bastarmi. Come al solito la
domenica mattina, quando non ho niente da fare, mi prende quel tuffo di vuoto
che sempre un po' mi disorienta. Ma so come placarlo, so
che passa. Si tratta solo di aspettare.Tante cose da fare. La casa
reclama. Non ci sono mai e si vede. Ogni stanza pretenderebbe la
precedenza. E io non so decidermi. Cammino lentamente per il lungo
corridoio,l'antico camminamento. Le tre finestre hanno i vetri da
lavare. Ma non è quello che attira la mia attenzione, non è quello.
L'istinto è di tornarmene in cucina, ma questa volta mi fermo e
guardo quello che c'è da guardare: la cassapanca scura con le poche
cose rimaste di mia madre e i due comodini. É un lavoro che devo
fare. Adesso, subito. E preferisco farlo da sola, senza chiedere
aiuto. Questa cosa un po' mi spaventa ma la voglio affrontare. So che
dopo sarò più leggera. So anche che restare attaccati agli oggetti
delle persone che non ci sono più non fa altro che tenerci
prigionieri. Prigionieri e tristi. Di vestiti non ne sono rimasti
molti, avevo fatto già un bel lavoro, e chissà perché adesso
queste gonne, queste maglie, queste sciarpe, svuotate di lei, sono
cose, solo cose, persino il suo odore è svanito, è rimasto solo un
sentore di muffa (la sua casa era umida, molto umida, lei si
lamentava sempre per il dolore alle ossa, ma io non le volevo credere
per non sentirmi in colpa…). Missione compiuta, metto tutto in un
vecchio trolley, lo porterò alla Caritas, presto, molto presto.
Pulisco la cassapanca con lo spray per il legno. Ora profuma. La
dipingerò di grigio polvere o celeste acqua, dentro metterò le
coperte di lana e i piumoni. E ora passo ai comodini. Lavoro più
delicato. Butto le ricevute dell'affitto e tutte le analisi mediche.
Via. Tengo i libretti di lavoro. Prima data: 1945. Torino, la guerra
è appena finita, lei ha sedici anni ed è felice di aver trovato il
suo primo lavoro di stenodattilografa.La immagino: capelli corti,
arricciati con il ferro, scarpe con la para di sughero e calzini
bianchi. Ecco il passaporto: un unico timbro, agosto 1982, Perù, la
nascita di mia figlia.Mia madre è' venuta a Cuzco per il parto e io
l'ho aspettata, volevo che mi vedesse con il pancione, e ce l'ho
fatta, per poche ore.Trovo una pagina che descrive quel viaggio, un
breve racconto che aveva mandato a una rivista. Bello.Mia madre
scriveva molto bene.
E lettere, tante lettere. Quelle della sua
grande amica Simonetta e degli altri amici di Firenze. Gli anni di
Firenze, per lei gli anni più belli. Il lavoro, le uscite il sabato
per andare a ballare il liscio, il cinema… Le lettere mie da
Parigi e dall'America Latina sono già da tempo conservate in una
scatola di cartone, insieme alle sue. In una piccola scatola con il
coperchio argentato trovo le lettere dal Costa Rica di Paquito, il
suo unico amore dopo la morte di mio padre. Lettere dolci, intense.
Di lettere così adesso non se ne scrivono più, peccato. E una lunga
lettera a mio padre. Non riesco a capire se l'abbia mai spedita. E'
del '60. Una lettera molto triste. Era un periodo in cui litigavano
spesso e lei aveva scoperto un suo tradimento. Ma lei lo ha amato
fino alla fine, di un amore totale, dal quale a volte io mi sono
sentita esclusa. Nella lettera parla anche di me. Mi chiama
Elviruccia. Mi prende un'ondata di dolcezza. Ma sento anche la sua
sofferenza, ricordo quanto fossi contagiata da tutta quella tristezza
e come cercassi di fare il pagliaccio per farla sorridere, senza
riuscirci quasi mai. Avevo solo 8 anni. Su fogli di carta sottile
sottile trovo le poesie di mio nonno, con quella bella grafia che si
imparava a scuola nei primi anni del '900, elegante, armoniosa, la
bella scrittura.
E qualche foto sfuggita all'album grande di
famiglia. Foto di mia madre che sorride a Paquito nella casa di
Firenze, giovane, ha solo 46 anni, adesso mi sembra giovane...allora
no. E poi le agende degli ultimi anni dove lei annotava le sue
giornate, nei minimi particolari, fino al 2012, poi ha smesso
all'improvviso. Pagine molto tristi. Di solitudine, ansia
depressione. Ho come risentito la sua voce. E ho provato un insieme
di sensazioni: tristezza, certamente, ma anche empatia, tenerezza,
condivisione, amore, senso di colpa, amore, ancora amore, quello che
non diminuisce ma cresce di giorno in giorno, anche se non c'è più
la forma, quella alla quale ci attacchiamo spasmodicamente. Ma
rimane, distillata, l'essenza, preziosa, eterna. E questo mi basta.
Ora mi sento più tranquilla, ho sistemato lettere, foto e documenti
in una scatola. Sono al sicuro, protette. La storia di mia madre. Una
storia bella. Di gioie e dolori. E tanto tanto amore. Dipingerò
anche i comodini, di un colore chiaro. Che faccia allegria.
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