Ci
si affeziona ai luoghi. Anche se a volte ce ne lamentiamo. Mi piace,
non mi piace, avrei voluto questo, avrei voluto quello. Ma quando li
dobbiamo lasciare, magari dopo più di vent'anni, mentre prepariamo
gli scatoloni per il trasloco, ci accorgiamo all'improvviso di
amarli, e tutto il tempo passato a lamentarci ci sembra un tempo
sprecato inutilmente. Avremmo potuto amarli di più quei luoghi,
avremmo potuto prendercene più cura, avremmo potuto guardarli con
più benevolenza e tenerezza, avremmo potuto… Soprattutto quando si
tratta di un ufficio. Certo in inverno (quando non accendevano i riscaldamenti, ed è successo per anni), e anche nelle mezze stagioni, faceva freddo, molto
freddo e non ci si riusciva mai a scaldare, dovendoci coprire fino
all'inverosimile, a volte addirittura mettendoci un plaid sulle
gambe.
E d'estate, la luce abbagliante ci costringeva a chiudere le
persiane e a stare in penombra, visto che la richiesta di mettere
almeno una tenda veneziana non era mai stata nemmeno presa in
considerazione. E le sere d'inverno, quando si usciva dall'ufficio, i
lampioni erano spenti e bisognava attraversare il parco al buio,
sperando di non fare brutti incontri. Senza poi tenere conto di quel
lungo periodo in cui si era rimasti da soli nella palazzina deserta e i
ladri erano entrati ben 5 volte, rubando tutto quello che potevano.
Ci era stato prospettato un trasferimento in un altro ufficio, ma noi
quell'ufficio lo amavamo, anche se la cosa poteva sembrare
impossibile, lo amavamo e chiedevamo solo di poter lavorare al caldo
e al sicuro. E senza la luce in faccia d'estate. Tutto qui. Ma la
macchina burocratica, si sa, è piuttosto lenta e arrugginita e ha i
suoi tempi. Eterni. E quindi per 21 anni si era rimasti lì. 21
inverni freddi, ma anche 21 primavere. Quando arrivavano le rondini
era una gioia vederle volteggiare dalla finestra aperta, con il Tempio antico sullo sfondo. E nello
stesso periodo veder schiudere i fiori d'arancio che di lì a poco
avrebbero inondato il giardino del loro profumo. E quando l'albero di
Giuda, dal duplice tronco contorto, che sembrava mimare un abbraccio,
fioriva di viola, era uno spettacolo. E poi i merli saltellanti e i
gatti della colonia felina, che si erano avvicendati negli anni, uno
più bello dell' altro... E il laghetto, per anni trascurato, fino a
seccarsi del tutto, aveva negli ultimi tempi ripreso vita con
moltissime anatre, qualche tartaruga e numerosi pesci rossi. Nei
pomeriggi di primavera e d'estate il chiasso dei bambini entrava dalla
finestra ed era una nota allegra che rendeva quelle lunghe giornate
di rientro meno pesanti. Un bel posto per lavorare, dicevano tutti,
ma lì iniziava il lamento, più che giustificato: troppo freddo,
troppa luce, troppo buio, troppa solitudine. Tutto sacrosanto. Tutto
vero. Ma c'era il giardino. E gli anziani sulle panchine. Ma anche i
tossicodipendenti. Le lunghe sere d'estate. Ma anche quelle buie e
fredde dell'inverno. Nessun luogo è perfetto, come non lo sono le
persone e alla fine ci eravamo affezionati. Lontani dai tumulti del
palazzo, dai pettegolezzi, dall'atmosfera a volte pesante di una
convivenza con qualche collega ostile. Tutto ha un prezzo. E quel
plaid sulle gambe era forse il prezzo da pagare. Qualcuno ci
diceva: "il lavoro è lavoro". Ma quel lavoro, al quale all'inizio
avevamo tanto tenuto, appassionandoci e impegnandoci, era stato, per
un insieme di cose, sempre più svilito, snaturato, in qualche modo
oscurato. Ma questo è un altro discorso.
E
adesso, preparando gli scatoloni, qualche periodo felice e realizzato
riemerge fra i faldoni. Qualche anno buono c'è stato. Di
soddisfazioni, gratificazioni e riconoscimenti. Poi tutto è
cambiato. Ma questa è un'altra storia. Quanta
roba si accumula in 21 anni. Quanta fatica a catalogarla, smaltirla,
o semplicemente destinarla all'archivio. Fatica psicologica, soprattutto. Ricordi che si susseguono. Speranze. Gioie. Delusioni. E
adesso, a poco più di un anno dalla pensione, arriva il trasferimento in
un'altra sede. Più bella e spaziosa, ancora più luminosa (temo che il problema
delle tende si presenterà di nuovo), con tanta gente, pubblico e
colleghi, e vari uffici, anche di un altro ente. E il distributore di
caffè e bibite. Ci si potranno sgranchire le gambe e scambiare due
chiacchiere con qualcuno, durante la pausa. Ma senza il giardino. A pensarci bene,
tutta questa solitudine, tutto questo silenzio, l'avevamo voluti e cercati
noi. E adesso che forse siamo pronti, è arrivato il momento di stare
in un luogo pieno di persone, di stanze, di relazioni. E il parco con
le anatre e gli alberi d'arancio ce lo potremo godere nel tempo
libero. E forse guarderemo quella finestra con un po' di malinconia.
Ma solo un po'. E ci godremo la vita.
Sto traslocando l'anima
fra scatole e cartoni
nascoste le emozioni
i trucioli rimasti
svolazzano su un vuoto
di memoria.
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