C'è un angolo della mia cucina, fra il lavello e la finestra che si affaccia sulle colline, la chiesa romanica e più a destra il
tempio, che io chiamo “il mio angolo illuminato”. E non perché
sia particolarmente luminoso. Nella mia casa non si può sfuggire
alla luce, la luce la circonda, a trecentosessanta gradi, e data la
posizione fortunata, posso gioire di albe e tramonti spettacolari.
No, il mio angolo è “illuminato” perché da anni, da quando cioè
cerco di ascoltami di più, mi sono accorta che proprio lì in
quell'angolo io divento più serena, più consapevole e più felice.
A partire dalla fine del '700, data di costruzione della casa, per
molto tempo in quell'angolo c'è stato un focolare con un camino, e
quindi decine di donne si sono alternate proprio lì a preparare il
cibo, ad attizzare il fuoco, a pulire e lavare le verdure. E io in
qualche modo sento la continuità di quei gesti, immagino i volti di
quelle donne, la loro fatica, i loro sogni a quella finestra
affacciata sulla bellezza. E mi sento una fortunata discendente di
quella stirpe di donne in cucina, senza però il loro affanno, la
loro fatica, visto che adesso, anche se ormai lo diamo per scontato,
siamo circondati dalle comodità. Ma chissà forse anche loro, in
quell'angolo a volte si concedevano la lentezza, la gioia dei piccoli
gesti, tagliuzzare, sminuzzare, impastare, condire, inventare, in
un'alchimia semplice, che io credo dovremmo recuperare. Per me la
magia avviene soprattutto di sera. Il silenzio avvolge la casa, il
buio non è ancora completo, il rosso infuocato del tramonto si sta
stemperando e se il mio sguardo si sposta verso la sala da pranzo,
dalla grande finestra vedo le isole e il mare.
E' la mia ora, quella
in cui lascio tutti pensieri e gli affanni. Sono a casa, quella casa
che ho scelto appena l'ho vista, come se fosse un amore. E che mi è
sempre stata fedele, anche quando io, per stanchezza, davanti a
qualche suo costoso acciacco a volte penso di disfarmene, per andare
in una casa più comoda. Senza tutte quelle scale, senza tutte quelle
crepe, senza tutte quelle mattonelle sconnesse. Ma le mie fantasie di
infedeltà, durano meno di un giorno. Al primo tramonto, affacciata a
una delle nove finestre, riprovo quella sensazione di assoluta
meraviglia che mi fa restare immobile, grata, a respirare tutta
quella bellezza, quasi come in preghiera. E lì in quell'angolo tutta
la stanchezza della giornata svanisce. E' l'ora della minestra. Come
un rituale, tutte le sere. La minestra mi conforta, mi fa sentire che
mi sto prendendo cura di me, che posso concedermi il tempo di non
fare nient'altro, di non pensare a nient'altro. E, mentre affetto una
zucchina o una carota o una zucca, mi concentro sui gesti, con calma,
nessuno mi corre dietro, divento un'artista che compone con quelle
rondelle verdi, arancioni, gialle, la sua opera profumata.
Le mie mani trattengono gli odori, si inumidiscono, si animano, diventano mani utili, dopo ore a battere sulla tastiera di un computer cose che non mi appassionano. Le mie mani riprendono vita. E quando mi capita di cucinare per la mia famiglia o i miei amici, la gioia si moltiplica. Ma devo fare attenzione all'ansia da prestazione, alla fretta che si affaccia. Allora ogni tanto mi fermo e respiro. Tolgo qualche fogliolina secca alla pianta di basilico e mi rimetto al lavoro, rallentando. Tornando alla carota, alla zucchina, al coltello che le affetta, al loro colore, alla loro consistenza e mettendo da parte pensieri fastidiosi e superflui. Non ho bisogno di nient'altro. Ho tutto quello che mi serve. Il mio angolo illuminato. La mia finestra. Il mio respiro. Le mie mani.
Le mie mani trattengono gli odori, si inumidiscono, si animano, diventano mani utili, dopo ore a battere sulla tastiera di un computer cose che non mi appassionano. Le mie mani riprendono vita. E quando mi capita di cucinare per la mia famiglia o i miei amici, la gioia si moltiplica. Ma devo fare attenzione all'ansia da prestazione, alla fretta che si affaccia. Allora ogni tanto mi fermo e respiro. Tolgo qualche fogliolina secca alla pianta di basilico e mi rimetto al lavoro, rallentando. Tornando alla carota, alla zucchina, al coltello che le affetta, al loro colore, alla loro consistenza e mettendo da parte pensieri fastidiosi e superflui. Non ho bisogno di nient'altro. Ho tutto quello che mi serve. Il mio angolo illuminato. La mia finestra. Il mio respiro. Le mie mani.
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