domenica 19 maggio 2024

AL PORTO (da I GIORNI SALVATI)


 2011

Quel giorno che siamo andate a mangiare al porto in quella piccola friggitoria, ti avevo accompagnata all'ospedale a fare il controllo dopo l'operazione di cataratta. Eri incredibilmente allegra, sembravi ringiovanita di vent'anni. E' uno di quei ricordi nitidi, a colori, incastonati nella memoria come una pietra preziosa. Ti ho proposto di fare due passi: era una bella giornata e potevamo festeggiare il buon esito del controllo. Normalmente avresti rifiutato. Da molto tempo uscivi solo per andare a fare la spesa. Poco a poco i tuoi tragitti si erano accorciati e te ne stavi sempre in casa, scandendo le tue giornata con la stessa medesima routine: colazione, pulizie, spesa, pranzo, riposino, lettura del giornale, cena e, prima del telegiornale, le abluzioni serali. Poi un film o un dibattito politico (adoravi Michele Santoro!) la tua mezza pastiglia di sonnifero presa con una camomilla e a letto tardi, a volte dopo la mezzanotte. Prima di chiudere gli occhi leggevi qualche pagina di uno dei tuoi amati libri. Adoravi la Yourcenar e Doris Lessing, ma spesso ti addormentavi con gli occhiali sul naso e spegnevi l'abat jour a notte inoltrata. Così, tutti i giorni. Amiche nessuna. Per venirti a trovare dovevo fare attenzione all'orario: mai in zona preparativi cena o durante il telegiornale. La mattina lavoravo e la domenica facevi le pulizie profonde, prima di guardarti la messa alla televisione. Negli anni ti eri riavvicinata alla Chiesa, a modo tuo, ritrovando lo spirito religioso un po' romantico che avevi da ragazza: dare da mangiare agli affamati, assistere i moribondi, vestire gli ignudi... Tutto senza quasi uscire di casa. Ma se io mi presentavo per l'ora di pranzo o di cena, mi facevi vedere i pentolini sempre più piccoli, sembravano quelli delle bambole, in cui ti cucinavi e mi dicevi “Mi dispiace, non ti posso offrire niente, se lo avessi saputo...” 
 
Ma quel giorno al porto ribaltasti tutti i tuoi schemi e la tua tabella di marcia. Ti prestai i miei occhiali da sole per schermarti dalla luce che ti infastidiva l'occhio operato. Erano tondi e avevano la montatura verde, di celluloide. Ti donavano molto. Ordinammo una frittura di pesce e delle melanzane grigliate e da bere una bottiglietta di vino bianco, ghiacciato. Ricordo che abbiamo chiacchierato molto, come al solito io soprattutto ascoltavo, ma quel giorno i tuoi discorsi erano allegri, quasi fiduciosi. Sembravi un'altra persona. Il caffè lo abbiamo preso nel baretto vicino all'attracco delle navi per Ponza e poi abbiamo camminato fino alla punta del porto. Ogni tanto ti accendevi una sigaretta e ti fermavi a guardare il panorama, incantata, come se lo stessi vedendo per la prima volta. Ho pensato, nel vederti così, che forse le gocce che ti avevano inoculato, contenessero chissà quale sostanza euforizzante: non eri tu quella madre anziana che camminava dritta accanto a me, sorridente, sicura di sé, elegante nel suo giacchino blu trapuntato e gli occhiali verdi. Che fine aveva fatto quella vecchia arrabbiata e brontolona che camminava curva per farsi compatire, lamentandosi per il dolore alle ossa e altri infiniti acciacchi? Eri tu mamma quel giorno? O un'altra te venuta dal multiverso, per farmi riprovare la gioia delle nostre passeggiate quando avevi quarant'anni? Un piccolo miracolo per darmi l'illusione che non stavi affacciandoti agli anni più difficili e cupi, c'era ancora del tempo per noi, per camminare insieme e goderci le cose belle della vita: lo interpreto così quel giorno e per me è un regalo e una grossa consolazione.Domenica sono andata a Roma con Olivia. Noi due a camminare sotto il sole al Circo Massimo in una giornata fredda di gennaio. Ecco, ho pensato che avrei voluto che Olivia ricordasse per sempre quella giornata, nei minimi particolari. Madre e figlia, sorelle, amiche, a goderci una giornata tutta per noi camminando a braccetto, i nostri passi accordati, quasi in una danza di Pina Bausch. Come quel giorno al porto con te mamma. Una giornata di perfetta allegria.
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

martedì 12 gennaio 2021

COSA SARA'


 

'COSA SARA' di Francesco Bruni è l'ultimo film che ho visto al cinema, prima che le sale chiudessero. È un film di sguardi, oltre che di parole, tutte dette fra l'altro al momento giusto, senza forzature o sbavature. Lo sguardo azzurro e smarrito di Kim Rossi Stuart, il protagonista, disarmato di fronte a un evento così inaspettato e spaventoso che non sa come affrontare. Lo sguardo di Lorenza Indovina, sua ex moglie nel film, un pozzo di accoglienza, amorevolezza, ironia, quella giusta, che serve a contenere e sdrammatizzare. Lo sguardo dei ragazzi, Fotini' Peluso e Tancredi Galli, spaventato, inerme, a volte arrabbiato, che grida ancora prima delle parole. E quello della dottoressa, Raffaella Lebboroni, uno sguardo sincero, che non consola ma neanche spaventa, fa da specchio senza deformare, rasserena perché così diretto, senza pietismo, e per questo è così compassionevole. E lo sguardo fraterno e amico dell'infermiere, Nicola Nocella, quello dolce della sorella, Barbara Ronchi, appena un po' naif, quello del padre, Giuseppe Pambieri, apparentemente algido e indifferente. E poi lo sguardo di Francesco Bruni, il regista, che illumina, scalda, incoraggia, ci prende per mano e ce la stringe, per tutta la durata del film. Un film profondamente umano, diretto, sincero, e non solo perché in parte autobiografico.  Un film che fa sorridere, ridere e piangere. Ed è un pianto di quelli che durano lungo i titoli di coda e alleggerisce e addolcisce. E ci fa provare tanta gratitudine, per chi ha condiviso con noi  un pezzo della sua vita e ci ha regalato un film così bello.

giovedì 12 marzo 2020

CERCARE IL BELLO


Sono caduta, inciampata in una catena, le catene non mi piacciono, nessuna, per questo forse sono inciampata, perché la costrizione mi rende confusa, smarrita, incerta, anche nei passi. Vuol dire che devo rallentare ed essere ancora più presente e consapevole, in questo momento così diverso da tutti gli altri, quasi come  un film dal  finale aperto e dall'esito incerto. L'unica cosa sicura è che ogni attimo è prezioso e non va perso, nessuno, ci dobbiamo passare dentro, con i sensi vigili, attenti, rallentati, perché in questo momento non abbiamo bisogno di correre, anzi: fare tutto con quella lentezza alla quale non siamo più abituati ci può aprire scenari nuovi, più significativi, nei quali finalmente non diamo più le cose per acquisite, scontate, crogiolandoci nella nostra routine compulsiva, ma pur sempre rassicurante. La routine adesso ce la dobbiamo reinventare, tornando ai gesti semplici, essenziali, al silenzio, alla solitudine, allo spazio, anche quello temporale, da non riempire a tutti i costi, in un troppo pieno che può portare solo ansia e stress. Adesso abbiamo paura, ma non dobbiamo temerla e non è un gioco di parole. Entriamoci dentro, esploriamola questa paura e quando l'avremo guardata in faccia, sentendo nel corpo le tensioni, il respiro contratto, il batticuore, potremo renderci conto che la nostra vulnerabilità, se accettata e consapevolizzata, ci potrà portare a quel rispetto delle regole, a quel senso di umanità e di comunità, che, nel delirio di onnipotenza, avevamo dimenticato. Possiamo uscire da questa esperienza sicuramente migliori, con uno sguardo più attento alle cose che veramente contano, ai valori che avevamo tralasciato e alla natura, della quale, adesso più che mai, dobbiamo prenderci cura, diventando generosi e attenti come quelle migliaia di infermieri, di medici e di volontari che si stanno prendendo cura di noi e che non riusciremo a ringraziare mai abbastanza. Ecco, sarà forse proprio questa gratitudine, a renderci tutti persone migliori.

Cercare il bello
Stanarlo con il cuore
Lì dove si nasconde
E chiede solo
Di essere trovato

Cercarlo nelle briciole minute
Nell'aria azzurra
Di isole sul fondo
E nella piazza lucida
Di marmo

Fare attenzione
Al minimo rumore
Che dal silenzio si rivela
Come musica incompiuta

Tornare ai gesti
Del pane e la minestra
Da preparare calmi
Sentendone il profumo

Dimenticare la fretta
Quella che  ci sbrana
Come cane addestrato
Alla ferocia

Riprenderci l'attesa
Fatta di pause salutari
E del semplice guardare
Oltre la finestra il mare aperto

Abbracciare la paura
Che ci chiede ascolto
E respirare insieme a lei
Grati semplicemente
Di questo respirare


E ritrovare finalmente
Le parole gentili
Che ci rendono fratelli.











sabato 25 gennaio 2020

LAVORARE CON GIOIA


È più di un mese ormai che non vado in ufficio. L'ultimo giorno, dopo aver pulito la scrivania, controllato i cassetti, dato uno sguardo alle stanze spoglie che mi hanno accolto in una triste quarantena, quasi un esilio, in questo ultimo anno di lavoro, ho pianto. 
Ero rimasta qualche minuto in più per concedermi questo lusso, perché piangere è un lusso che ogni tanto ci dobbiamo concedere. Ed è iniziata la mia vita da pensionata. Non sei contenta? Mi chiedono in molti. Certo, adesso sono libera, il tempo è tutto mio, e posso dedicarmi alla mia famiglia, ai miei interessi, e fare tardi la notte guardando vecchi film.
Ma non pensavo che nei sogni, una volta chiuso questo capitolo doloroso, si sarebbe riaffacciato così prepotente il senso di ingiustizia, di frustrazione, di rimpianto. E ho sognato stanze immense in cui vagavo e mi sentivo estranea, fuori posto, con i colleghi che mi chiedevano: che ci fai tu qui? E un senso di desolazione, di inutilità di spreco a fare da colonna sonora a una scena grigia e algida, senza colori, senza vita. Ma stanotte nel mio sogno osavo di più: prendevo per le spalle uno dei presunti colpevoli di tutta questa desolazione e gli chiedevo: Perché?  Argomentando in maniera certosina tutte  le ingiustizie, gli sgarbi, la trascuratezza, la mancata empatia, il vuoto, la solitudine di questi ultimi 10 anni. Perché per fortuna di anni buoni ce ne sono stati. Ma lui non mi rispondeva, biascicava qualche scusa banale, arrampicandosi sugli specchi. E poi via via sono comparse altre colleghe dal volto sconosciuto, gentili, empatiche che mi dicevano : 'È successo anche a me'. Ma non è bastato ad alleggerire il groppo che mi sentivo nel petto, pesante, così pesante che per fortuna mi ha fatto svegliare. È stato un sogno, solo un sogno, spero uno degli ultimi per spurgare e mitigare gli effetti di una ingiustizia mal digerita. Un'ultima considerazione: sarebbe bello, veramente, se i dipendenti comunali potessero essere valorizzati, incentivati, riconosciuti, gratificati in base alle capacità, alle attitudini, al merito. Invece questo non accade. Per una serie di motivi. Ed è un peccato. La mia città potrebbe funzionare meglio, molto meglio se le persone fossero messe in grado di lavorare in squadra, motivate e sostenute dai loro superiori. Superiori non costretti a piegarsi alle richieste dei politici  che spesso, a parte rare eccezioni, non hanno neanche l'idea di cosa voglia dire amministrare. E non è valido, almeno per me, il proverbio 'mal comune  mezzo gaudio'. I have a dream: che si possa lavorare con gioia e soddisfazione. É un augurio che faccio ai miei ex colleghi e alla prossima Amministrazione.


lunedì 30 settembre 2019

IL LIEVITO MADRE DI DON MILANI




IL CAMMINO DI DON MILANI
Sono stati scritti tanti libri su Don Milani: il giovane prete, l'uomo coraggioso, l'idealista, il ribelle, il rivoluzionario, il prete scomodo da esiliare... Ogni libro ha voluto sottolineare uno o più di questi aspetti e tutti, più o meno, ci siamo fatti un'idea, a volte frammentata, a volte più completa, di Don Lorenzo Milani. E poi abbiamo letto le sue lettere, quelle scritte da lui e i suoi ragazzi, tradotte in tutto il mondo, che hanno fatto conoscere e diffondere l'essenza dei suoi insegnamenti, le sue idee, le sue battaglie. Tutti conosciamo il suo aspetto,la sua foto ce lo ha reso familiare, insomma lui era uno di noi, che se ne è andato troppo presto ma nella sua breve vita  è riuscito a lasciare una traccia indelebile. Ma mi mancava qualcosa, c'era qualcosa di incompiuto, qualcosa che mi chiedeva di approfondire la sua conoscenza. E l'occasione finalmente è arrivata. Grazie a Viviana, figlia di Maresco Ballini, uno degli alllievi di Don Milani, per me e un gruppo di amici è stato possibile andare a conoscere direttamente, direi quasi di persona, anche se non c'è più, il Priore di Barbiana, facendo l'esperienza bellissima del Cammino di Don Milani, aperto recentemente proprio da Viviana. Perché proprio di un incontro con lui si è trattato e non con la sua immagine. Innanzitutto visitando i luoghi da cui è iniziata la sua avventura spirituale e umana: San Donato di Calenzano e Barbiana. A S. Donato Don Lorenzo, giovanissimo prete, ha vissuto per sette anni creando quella Scuola Popolare che poi avrebbe scatenato contemporaneamente le ire  di Chiesa, Politica e Industria, che si sono sentite minacciate dalle sue proteste, dalle sue domande, dalle sue rivendicazioni di un mondo più equo, di giustizia e di risorse per tutti. A partire dalla cultura, che per lui era il pilastro (attraverso il riappropriarsi della parola) della crescita umana, sociale e politica di ogni persona. E poi Barbiana, la sua Chiesa, la sua Scuola. E fra un luogo e un altro appunto il Cammino, i sentieri, la natura, i boschi, da attraversare a passo lento, in fila, guidati da Lorenzo, ragazzo siciliano che ora vive nel Casentino  e fa il suo lavoro di guida ambientale con gioia e passione e ci ha sostenuti e incoraggiati con il suo sorriso e le sue parole durante il percorso a volte accidentato e impervio.

E per rifocillarci e riposare la notte, abbiamo alloggiato presso l'agriturismo di Pratinovi, antico casale di pietra fra prati, valli e boschi di castagni, accolti da una proprietaria dolcissima come il suo nome, Geraldina, che insieme alla sua famiglia lì vive tutto l'anno gestendo l'attività. Scarponi sporchi di fango, gambe indolenzite, stanchezza e entusiasmo, curiosità, occhi e cuore colmi di bellezza. A San Donato la mattina del sabato avevamo incontrato alcuni dei “ragazzi” della Scuola Popolare: Luana, Mario, Enzo detto Mauro, Giovanni e Andrea dell' Associazione che promuove la cultura e lo spirito di San Donato e Barbiana, organizzando convegni, conferenze e doposcuola per gli studenti nelle modernissima biblioteca di Calenzano. Anziani dallo sguardo vivo e dalla voce ferma ci hanno preso per mano raccontandoci la straordinaria esperienza dell'incontro con Don Lorenzo, che a tutti loro ha cambiato la vita. E poco a poco si sono susseguiti aneddoti di vita quotidiana, ricordi, emozioni che ci hanno fatto quasi toccare con mano l'esperienza delle Conferenze del venerdì: la sala si affollava di giovani venuti anche da altre Parrocchie a quella che possiamo ben definire una Scuola di vita che rispondeva a una sete di sapere che aveva bisogno di essere placata. Come? Con l'ascolto delle esperienze di uomini di cultura, sindacalisti, artisti, venuti a San Donato, su invito di Don Lorenzo, per condividere quello che sapevano e conoscevano, raccontandolo agli altri, facendolo circolare e non tenendoselo stretto per sé...

E poi l'esilio, la punizione, direi la vendetta. Per piegare e sottomettere la forza di un uomo, di un prete, che aveva osato non solo mettere in discussione ma soprattutto smascherare i giochi e intrighi del potere e le sacche di ingiustizia, a voce alta, gridata, senza paura, fino ad essere additato come un pericoloso rivoluzionario. Dopo l'ultimo tratto di Cammino, quando da lontano abbiamo iniziato a intravedere la Canonica e la sagoma del campanile della Chiesa circondate dai cipressi, ci siamo sentiti pervasi da una sensazione di dolcezza e di familiarità. Come ci ha raccontato  Sandra, la figlia di Michele, uno dei bambini della scuola, Barbiana era un non luogo, senza case, a parte la Canonica, senza una comunità, senza un'identità, un luogo di infinito dolore. E di miseria, tanta miseria. Don Lorenzo Milani ha fatto il miracolo di creare una comunità con uno spirito critico che, come il lievito madre, è andato crescendo, generando consapevolezza, appartenenza e dignità. E dopo i racconti dei bambini e della bambina di Barbiana, anche noi ci siamo sentiti parte di questa comunità, così dolce, così ospitale, così affettuosa. Mileno e Fiorella per primi, attorno al tavolo di Pratinovi ci hanno incantato con le loro storie. Fiorella ci ha descritto la miseria nella quale versava la sua famiglia, la fatica di lei bambina che doveva occuparsi degli animali, della stalla, del formaggio e del burro da ricavare dal latte appena munto. E ci ha raccontato quanto sia stato importante per lei essere riconosciuta e accettata da Don Milani e amata come una figlia, riuscendo così a compensare la mancanza di cure e di affetto da parte di una madre sofferente e stanca. E Mileno, nome che sua madre ha voluto dargli comunque  perchè desiderava una bambina che voleva assolutamente chiamare Milena, ci ha fatto sorridere raccontandoci della sua disavventura spagnola, rientrando in Italia in autostop, quando la Guardia Civile  alla frontiera lo ha costretto a cambiare delle sterline al mercato nero, cosa che poi in Francia al cambio si è rivelata molto vantaggiosa, quasi raddoppiando il suo denaro, e del commento scherzoso di Don Milani al suo ritorno.
Ricordi semplici, minuti, di gesti affettuosi, di parole a volte severe, di attenzioni paterne, di un insegnamento a 360 gradi, fatto soprattutto di esempio, di coerenza, di cura. I CARE.
Il motto di Don Lorenzo: mi importa, ho a cuore, mi prendo cura,mi preoccupo degli altri, cercando di  capire le cause, le motivazioni, di sciogliere i nodi e soprattutto di ridare la parola a chi non l'ha mai avuta, per renderlo libero. Fiorella con la sua voce e il suo aspetto sembra ancora la bambina delle foto, gli stessi lineamenti, lo stesso sorriso aperto. “Quella sono io” si è riconosciuta con gli occhi lucidi  ed è stato bello vederla commuoversi durante la visione del documentario che avevamo portato da Terracina, in cui si ascoltava Don Lorenzo parlare e si vedevano i bambini e le bambine  studiare e fare merenda intorno al tavolo sotto il pergolato e i bambini pù grandi tuffarsi nella piscina costruita da loro (dopo aver studiato e realizzato un sistema di filtraggio e drenaggio, come ci ha raccontato Nevio).

E poi la mattina dopo tutti nell'aula della scuola intorno ai tre tavoli, seduti alla rinfusa, come allora. Ad ascoltare. A fare domande. A sentire i racconti dei viaggi all'estero per imparare le lingue, uno dei punti cardine degli insegnamenti di Don Milani, dormendo negli ostelli della gioventù “così conoscerete gente nuova e potrete parlare e confrontarvi” e tornando in Italia in autostop, sempre per lo stesso motivo. Sparpagliati come semi per il mondo. Per poi tornare e germogliare con nuove conoscenze, nuovi saperi, nuove esperienze. Tirando fuori ognuno le proprie predisposizioni, i propri talenti. “Vi vorrei tutti sindacalisti - diceva Don Milani - ma dovrete fare quello che vi riesce meglio.”
E così è stato. Anche se è la politica, con i suoi meccanismi interni, ma soprattutto la Costituzione, uno dei punti di partenza degli insegnamenti di Don Milani ai suoi bambini e bambine. Ed è stato proprio nella piccola aula di Barbiana, lì seduti intorno a quei tavoli di legno, gli stessi di allora, guardando gli alberi dalla finestra e gli oggetti costruiti dai bambini, l'astrolabio, il sistema solare, le cartine, i grafici colorati, le foto in bianco e nero, i libri catalogati sugli scaffali, le rastrelliere per le cartelle, le sedie di ferro saldate dai ragazzi, tutto esattamente come allora, che abbiamo sentito viva e non solo come un'eco lontana la presenza di Don Milani, che sorrideva contento, perché noi eravamo lì a continuare il suo lavoro.
I CARE, proprio quello, parlare, scrivere, condividere, viaggiare, conoscersi, impegnarsi, rispettare, ringraziare, combattere. Il lievito madre è diventato pasta madre e da ora in poi, come è avvenuto grazie ai bambini e alle bambine di Barbiana e ai ragazzi di Calenzano, anche noi ne regaleremo un pezzetto ai nostri amici, alle persone che incontreremo nella nostra vita, sul lavoro, a scuola, perché diventi un pane fragrante, nutriente e saporito, con il proposito di proteggerne sempre una parte perché si moltiplichi e cresca.
La pasta madre di Don Lorenzo Milani. La pasta madre della parola, della cura, dell'impegno, della condivisione, della conoscenza.



Il Cammino di Don Milani è stata un'esperienza risanatrice, di quelle che segnano uno scatto, un punto di svolta, e i racconti di Luana, Mario, Mauro, Giovanni, Mileno, Paolo, Fiorella, Nevio, e me ne scuso, forse qualcun altro che dimentico, sono stati per noi un dono prezioso e unico che Viviana, figlia di Maresco Ballini, scomparso da poco, ci ha voluto fare, anche per condividere la pasta madre che le era stata donata dal padre. Grazie di cuore Viviana, grazie bambini e bambine di Don Milani. Possiamo avere l'onore di considerarci, dopo avervi conosciuti e ascoltati, un po' come vostri fratelli? E sentire, insieme a Fiorella che lo ha ripetuto più volte con lo sguardo ridente che “Don Lorenzo era per noi come un babbo”?



giovedì 29 agosto 2019

DICHIARAZIONE D'INTENTI


Mancano poco più di tre mesi alla data fatidica. Pensione. L'ultimo giorno di lavoro, se saprò amministrare bene le ferie rimaste, sarà il 20 dicembre. Chiusura del cerchio. Me ne accorgo solo ora, il mio primo giorno di lavoro in Comune a Firenze è stato il 20 gennaio, data scelta da me perché è il giorno di nascita di mio padre. Non voglio fare bilanci. I bilanci intristiscono perché sono fatti di “dare e avere” e spesso la bilancia pende da una parte. La solita. Non voglio neanche pensare che la mia vita sarebbe stata diversa se solo avessi fatto quel lavoro, quella scelta, non avessi fatto quel concorso, avessi continuato quella specializzazione ecc. ecc. Balle. Tutto quello che è accaduto era cosa migliore e la più giusta che potesse accadere, date le circostanze, i momenti, la consapevolezza, le forze che erano presenti e giocavano simultaneamente.Quindi nessuna recriminazione. Anche perché in tutti questi anni c'è stata lei. La mia vita. Che non era fatta di solo lavoro. Ma di molto molto altro. Le passioni, le amicizie, gli affetti, la famiglia, i viaggi, i libri, lo studio, la scrittura, la ricerca, la spiritualità, la natura, la mia casa, la mia città… 

 Quindi va tutto bene. Lei, la mia vita continuerà. Con più spazio, più tempo, più libertà.E non voglio farmi tentare dal pensiero che il tempo a disposizione, quello che mi aspetta, si sia oggettivamente e statisticamente ridotto. Il mio tempo lo decido io, come riempirlo, come assaporarlo, come dargli significato, come non sprecarlo, come amplificarlo riempiendolo di bellezza. Ecco, da ora in poi voglio decidere di colmare la mia vita di bellezza. Quella fatta di piccole cose e grandi sentimenti, di giornate più consapevoli e più lente, di amicizie coltivate con più cura, di sogni e passioni da riprendere in mano con tenerezza, di luoghi da visitare, scegliendo quelli che per mancanza di tempo e di ferie non ho potuto ancora visitare: la mia amata Cuba che mi aspetta da 38 anni, le caprette del Marocco, i giardini inglesi, il gran Canyon, la casa di Emily e ancora e sempre Grecia, terra madre e sorella.



Di certo non mi annoierò. Che bello sarà poter finalmente far tardi la notte a guardare un film dietro l'altro! Oppure alzarmi all'alba e camminare fino al tempio di Giove, senza orari e ogni giorno decidere il ritmo della giornata, più lento, più svelto, più morbido o serrato, o fare un bagno alla spiaggetta appena esce il sole e addormentarmi sulla spiaggia deserta. E poi cucinare. Con cura e con amore. Con lentezza e attenzione, scegliendo i gesti semplici da fare in una specie di rituale sacro. E imparare finalmente l'inglese, a capirlo, a parlarlo in maniera fluida, concedendomi magari una vacanza studio a N. York, dove finalmente potrò andare a trovare la mia cara amica Maria Nella che lì è di casa. E prendermi cura del mio corpo, riprendendo a fare yoga, nuotare, camminare, ballare, tutte cose che ho sempre potuto fare in maniera frammentata e discontinua. E godermi la crescita del mio meraviglioso nipotino, senza il limite di orari e stanchezza. Imparare dalla sua meraviglia. Vedere le cose con gli occhi puri e nuovi, come le vede lui. Togliermi, e questa è l'unica nota che rimanda a qualcosa di triste, quel velo di malinconia dallo sguardo per non essermi sentita valorizzata, apprezzata, compresa, sul lavoro. Cancellare quel senso di frustrazione. Acqua passata. Vita nuova. E continuare a organizzare, come ho fatto finora, ma senza la fretta e l'affanno, incontri, presentazioni, seminari, mostre, cosa che mi riesce naturale e mi diverte e soprattutto mi permette di condividere amici, esperienze, scoperte, interessi fino a formare un bellissimo arazzo dalle trame colorate e brillanti. Non a caso anni fa ho frequentato un Master in Art Counseling che ora vorrei mettere a frutto cercando di utilizzare l'arte, nelle sue varie forme, per agevolare l'espressione di emozioni e sentimenti. Un nuovo lavoro quindi, che mi faccia esprimere ed essere utile agli altri.
Questi sono i miei intenti. Quelli iniziali. Prometto a me stessa di mantenerli e ampliarli perché so che la mia curiosità e la mia voglia di esplorare sicuramente ne faranno nascere di nuovi. E mi prometto anche che quando mi calerà sullo sguardo quel famoso velo di rimpianto, semplicemente mi metterò davanti allo specchio e mi farò un grande sorriso. Acqua passata. Vita nuova. Da ora in poi solo meraviglia.

lunedì 22 luglio 2019

Sì CAMBIARE





Per molto tempo le cose seguono il loro corso regolare: consuetudini, abitudini, gesti, rituali rassicuranti, tutto si ripete all'interno di una routine confortevole, a volte noiosa, che ci mette al riparo da imprevisti e colpi di testa o almeno ne ammortizza gli effetti. Al sicuro nel nostro bozzolo, con qualche rimpianto che si affaccia, qualche ricordo che graffia e un futuro che vorremmo proteggere da tutto quello che non possiamo controllare. Eppure... L'inquietudine diventa il campanello di allarme. Diventiamo distratti, l'umore precipita, il corpo inizia a mandarci dei messaggi, niente di che, piccoli fastidi, appena percettibili, ma messaggi che all'inizio ci rifiutiamo di ascoltare, aumentando il nostro senso di frustrazione e il nostro malessere. Cosa c'è che non va? Tutto? O si tratta solo di aggiustamenti, anche minimi, che dobbiamo trovare il coraggio di mettere in atto? Oppure si tratta di un cambiamento di quelli epocali, che avvengono poche volte nella vita e ne modificano per sempre il corso? Dobbiamo metterci in ascolto, con mente e cuore aperti, sincerità e coraggio. A volte la nostra casa diventa lo specchio del tumulto in atto. Ci sfugge di mano. Non riusciamo più a prendercene cura come vorremmo, diventa un luogo ostile e inospitale, vorremmo fare qualche cambiamento, spostare mobili, dipingere le pareti, aprire una finestra, ma ci sentiamo come paralizzati. Una forza invisibile e possente ci impedisce di prendere decisioni, di scegliere, di modificare anche solo una piccola cosa. In agguato paura, malinconia e depressione, che non aspettano altro che darci il colpo di grazia. Che fare? Prendere atto che qualcosa preme per essere ascoltata, ci strattona, ci fa i dispetti. Non è un piccolo e dispettoso poltergeist a spostare oggetti o a dare fuoco alle tende, ma una voce insistente che ci sussurra di continuo all'orecchio: è ora di cambiare. E noi quella voce dovremmo trovare il coraggio di ascoltarla. 
E' ora di cambiare.
E sta a noi fare il primo piccolo, impercettibile passo. Forse inciamperemo, ma una volta deciso che è arrivato il momento, diventeremo sempre più abili e forti. All'inizio ci aggrapperemo a qualche mobile come fanno i bambini che iniziano a camminare, a volte faremo un capitombolo e dovremo prenderci cura di un fastidioso bernoccolo, ma di giorno in giorno i nostri passi diventeranno più saldi. E quando finalmente riusciremo a non incespicare più e a fare la prima corsa risoluta, il nostro sarà il sorriso di un bambino che ha scoperto la libertà e sta andando verso il mondo.