Alla fine del
’44 i miei nonni e mia madre, da Giaveno, il paese in cui
erano sfollati, ritornarono a Torino. La città era devastata, molte case erano
crollate a causa dei bombardamenti, ma miracolosamente la loro era rimasta in
piedi. Finalmente erano fra i loro oggetti, i loro mobili, i loro ricordi.
Qualche problema con luce e acqua, che spesso mancavano, ma niente di più. E
anche se faceva un freddo cane e non c’era legna da mettere nella stufa, si
sentivano in una reggia. Dalla campagna avevano portato un sacco di patate, un sacchetto di farina di castagne e uno di farina. E una gallina.
La misero a
razzolare nel cortile e nonostante lo scarso mangime, ridotto ormai a briciole
di pane secco, ogni giorno Mimì, cosi si chiamava la gallina, faceva un uovo
piccolo e bianco, come di porcellana. Due volte alla settimana, con quelle uova, mia
nonna faceva una frittata, utilizzando qualche avanzo o semplicemente una
cipolla e una fogliolina di prezzemolo. Un po’ di proteine, visto che la
carne scarseggiava e se si comprava al mercato nero bisognava pagarla un prezzo
esorbitante. Ma una mattina successe “l’incidente”. Mia nonna trovò Mimì
rantolante a pancia all’aria. Non riusciva a respirare e aveva qualcosa che le
premeva nel collo. Mia nonna si guardò intorno: a terra c’era una molletta di
legno per stendere il bucato, senza la parte metallica. Mimì l’aveva ingoiata.
Senza perdersi d’animo, con mia madre di 14 anni che le faceva da assistente,
una bacinella d’acqua bollente, un paio di forbici e del filo di seta per
rammendare le calze, mia nonna si trasformò in chirurgo: con mano ferma tagliò,
estrasse l’aggeggio metallico, disinfettò e ricucì Mimì. All’inizio la povera gallina
sembrava più morta che viva, ma il giorno dopo, anche se traballante, riprese a
razzolare in cortile e dopo una settimana fece un minuscolo uovo e anche il giorno
dopo e quello dopo ancora. Per sei mesi. Fino a che una mattina non morì, di
morte naturale. Tristezza e festa nello stesso giorno: brodo di gallina per una
settimana, poi risotto, ali lesse, petto in padella con le patatine, cosce, un
po’ secche in verità, in umido con i pomodori pelati. E mia madre ha continuato
per tutta la vita, ogni volta che mangiava un pollo o una gallina, a dire:
grazie Mimì.
Questa storia,
insieme a molte altre, è entrata a far parte del Romanzo “In Territorio Nemico” edito da Minimum Fax e scritto secondo il metodo S.I.C (Scrittura Industriale Collettiva).
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