Era molto alta e
aveva un accenno di seno, con due capezzoli appuntiti come matite appena
temperate. Era un po’strana. Lei non avrebbe saputo dire bene perché. Strana.
Una domenica Bambi
l’aveva invitata a pranzo a casa sua.
I suoi erano
gentili.
La madre, dopo
averla abbracciata, le aveva detto:
“Non chiamarmi signora,
mi fai sentire vecchia! Chiamami Nives!”
Appena finito di
mangiare, Bambi si era seduta in braccio a suo padre e aveva preso a sussurrargli qualcosa all’orecchio.
Poi avevano incominciato a ridere parlottando fra loro. Anche la Signora Nives rideva,
sembrava contenta.
Lei si era
sentita a disagio, fuori posto. Padre, madre e figlia ridevano, ridevano. Sembrava
una commedia o uno di quei film dove ridono tutti, ma tu non hai capito la
battuta
Guardando Bambi e
il padre abbracciati, aveva pensato che lei di suo padre aveva soggezione. Lui
non c’era mai e quando era a casa, il sabato e la domenica, se ne stava tutto
il tempo a guardare le partite o le corse di moto. Parole poche, strascicate. E
sempre le stesse:
“Come va la
scuola?”
“Va’ ad aiutare
tua madre”
“Comprami un
pacchetto di sigarette”.
Basta.
Figuriamoci poi sedersi sulle sue ginocchia.
Invece fra quei
due c’era una strana complicità. Che lei un po’ invidiava. Come pure invidiava
il caos colorato della loro casa, con quei cuscini di velluto sui divani e
piante dappertutto. Una casa allegra. Luminosa.
L’invidia la
sentiva nella gola, in un nodo fastidioso e amaro, che quasi la strozzava.
Quel pomeriggio,
dopo merenda, Bambi aveva tirato fuori dall’armadio un bauletto rosa,
merlettato, pieno di matite colorate, rossetti, fard e polveri luminescenti con
le stelline. Le voleva insegnare a truccarsi
“Non è un po’
presto a 11 anni?” lei le aveva detto timidamente, mentre cercava di togliersi
una macchia di rimmel dalla palpebra.
Ma Bambi, con un
rossetto rosa perlato che mandava guizzi luminosi, le aveva risposto:
“Bisogna
impararla presto l’arte della bellezza. Guarda mia madre: si è sposata a 18
anni, a 19 sono nata io, e vedi quant’è
bella, sembra una ragazzina. Non hai mai dimenticato un giorno di
truccarsi, il rimmel e la matita intorno agli occhi anche quando va a fare la
spesa. E invece, scusa, ma tua madre, sembra quasi una vecchia, con quei
capelli lisci scoloriti e le zampe di gallina… quanti anni ha? Trentacinque?...pare
che ne abbia almeno cinquanta!”
“Guarda che ti sbagli… mia madre è bella,
certo ha un po’ la faccia stanca e sfiorita con tutto quel correre, il negozio,
la casa, mio padre, sempre più esigente, ogni giorno camicie bianche da stirare…”
Avrebbe voluto risponderle così. Ma era riuscita solo a dirle, a bassa voce:
“Trentadue.
Appena compiuti”.
Sua madre le faceva
pena, sempre così affannata, sempre così incupita e stanca. A volte le saliva
forte il desiderio di scuoterla per le spalle e gridarle:
“Fermati un
attimo, guardami, ascoltami!”
Invece se ne
stava zitta, e per calmare il senso di colpa e di impotenza, cercava di
rendersi utile. Ogni mattina si rifaceva il letto, a volte puliva il bagno,
altre volte dava una mano a stendere il bucato.
Piccole faccende.
Non le pesavano. Avrebbe fatto i lavori forzati pur di vedere sua madre
sorridere come la Signora Nives, che rideva sempre, scuotendo i capelli
riccioluti freschi di parrucchiere e aveva addosso un profumo alla rosa, forse un
po’ troppo forte, ma buono.
Invece sua madre
non amava i profumi, diceva di essere allergica. Ma come si fa ad essere
allergiche a qualcosa di buono?
Le sapeva tanto
di scusa. Semplicemente non aveva i soldi per comprarselo il profumo, o forse
le sembrava una cosa frivola, uno spreco, chissà.
A Pasquetta erano andati tutti a fare una scampagnata: Bambi e i suoi genitori, lei e i suoi, e anche suo cugino Oscar. Suo padre aveva un debole per Oscar. Insieme giocavano a pallone o a racchettoni sulla spiaggia, oppure facevano la lotta. Lei se ne rimaneva impalata e timida a guardarli, avrebbe voluto partecipare a quei giochi da maschio, ma non ce la faceva, si sentiva le gambe rigide, bloccate e le spalle contratte. Suo padre rideva, Oscar riusciva quasi sempre a batterlo, ma lui non se la prendeva, anzi, sembrava orgoglioso.
A Pasquetta erano andati tutti a fare una scampagnata: Bambi e i suoi genitori, lei e i suoi, e anche suo cugino Oscar. Suo padre aveva un debole per Oscar. Insieme giocavano a pallone o a racchettoni sulla spiaggia, oppure facevano la lotta. Lei se ne rimaneva impalata e timida a guardarli, avrebbe voluto partecipare a quei giochi da maschio, ma non ce la faceva, si sentiva le gambe rigide, bloccate e le spalle contratte. Suo padre rideva, Oscar riusciva quasi sempre a batterlo, ma lui non se la prendeva, anzi, sembrava orgoglioso.
Era il figlio
maschio che aveva sempre desiderato...
Appena arrivati
nella sughereta, sua madre e la Signora Nives avevano disteso sul prato una
grande tovaglia a quadri, con sopra ogni ben di Dio: frittatine, uova sode,
pollo arrosto, patate al forno, tiramisù e colomba. Quattro fiaschi di vino,
appoggiati in cerchio intorno a una quercia, sembravano sentinelle impalate a
fare la guardia. Gli uomini si erano messi a giocare a carte, Oscar tirava
calci a un pallone un po’ sgonfio, Bambi appoggiata ad un albero sfogliava una
rivista femminile. Lei si era messa a sgusciare le uova.
“Appena ho fatto
arriviamo fino al fiume?” aveva detto a Bambi.
Ma Bambi aveva risposto alzando le spalle:
“Adesso non mi
va, chissà, forse dopo.”
Poi lei si era
distratta a mettere la legna sul fuoco per fare la brace.
Quando si era
girata Bambi non c’era più. E nemmeno Oscar.
“Li vado a
cercare”- aveva pensato- così magari andiamo insieme al fiume”.
Aveva camminato
per una buona mezz’ora, fino quasi a perdersi. Al fiume non c’era nessuno. Era
risalita su per la collina, inerpicandosi a quattro zampe nei punti più ripidi.
Era eccitata, le sembrava un’avventura, un giocare a nascondino più serio, da
grandi. Finché aveva sentito delle risate provenire da dietro un cespuglio. “Eccovi,
finalmente!” aveva detto a voce alta con sollievo, tutta rossa e accaldata.
Bambi era
sdraiata per terra e sopra di lei ansimava Oscar. Erano goffi.
Erano ridicoli.
Era scappata via
correndo e inciampando sul terreno scosceso.
“Dove ti eri
cacciata? E quegli altri due dove sono? Aiutami a girare le salsicce sulla
brace” le aveva detto sua madre.
“Stanno giocando
a pallone, fra poco arrivano…”. Il cuore le scoppiava in gola.
Non aveva fatto in
tempo a finire la bugia che Bambi era comparsa dal folto degli alberi,
sorridente, appena un po’ spettinata, con dietro Oscar, dinoccolato, a testa
bassa. Suo padre doveva aver intuito qualcosa perché c’era nel suo sguardo un
guizzo di orgoglio che sembrava dire: “E bravo mio nipote!”
“Grazie- le aveva sussurrato all’orecchio
Bambi - domani ti regalo il mio ombretto. Quello azzurro, con le pagliuzze
argentate”.
“Io non mi
trucco. E poi il blu non mi piace. - si era asciugata una lacrima con il dorso
della mano sporco di fuliggine - Uffa, questo fuoco mi fa bruciare gli occhi.”
Bambi le aveva
tolto il forchettone dalle mani.
“Spostati che ti
aiuto. Se vuoi dopo andiamo al fiume. Sole io te. Va bene?”
Lei aveva tirato
su col naso:
“Va bene. Ma
promettimi che Oscar non viene.”
“E’ solo un
bambino scemo. A me piacciono quelli più grandi. E poi mi diverto di più a
giocare con te.”
Lei aveva
sospirato. Un sospiro lungo, di consolazione.
Oscar stava
facendo la lotta con suo padre.
Il padre di
Bambi stava stappando un fiasco di vino.
Le due mamme se
ne stavano sedute su un tronco a fumarsi una sigaretta.
Bambi le stava
sorridendo.
Era proprio una
bella giornata.
E lei in quel
momento si sentiva incredibilmente felice.
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