Ponza |
Il corpo del dolore
Come tutti i corpi
Si decompone
Non è eterno
Si trasforma
Sfuma
Prepotente all’inizio
Vitale come un neonato
Si nutre famelico
Del tuo latte
Ti prosciuga
Fino a lasciarti spossato
Nella tregua effimera
Di un sogno
Al risveglio
Spilli dappertutto
Retrogusto migrante
D’angoscia
Che non sai collocare
Non nella gola
E neppure nel petto
Forse in una spalla contratta
O nel nodo
Che avviluppa lo stomaco
Ben stretto
Come fagotto in ostaggio
Poi si acquieta
E al suo posto
Una saudade
maldestra
Che rende lucidi gli occhi
E i gesti più ampi
Si ritorna alle azioni normali
Con una labile eco
Di fastidiose pendenze
Infine svanisce
Come vento fastidioso che cala
Di nuovo bonaccia
E il mare appena increspato
Invita ad un tuffo di vita
Risacca
******
Un’isola mi potrebbe salvare
Una baia tonda
Un grappolo di case bianche
Gli aranci in fiore
Uno spazio morbido
Di profumi
I portoni sempre aperti
Le vecchie sorridenti sugli scalini
I gatti
I tavolini blu
Le sedie di paglia
Un albero di fico
E forse un platano
Una piazza
La calma del tramonto
Il brusio dell’alba
Il mare dopo un temporale
Color piombo
Io che non sono di mare
Alzarmi presto la mattina
Scrivere
Dopo il pane
E il riposo del sole alto
Al fresco delle lenzuola
Fino a sera
E non sentirmi più straniera
Ovunque
E sola
Ma figlia di qualcuno
Che mi accarezzi
Con le mani bianche
E mi consoli
Figlia
Non avere paura
Mai più
Ci sono io
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