Erano uscite senza ombrello.
Il vento si era placato e dal cielo
cominciava a scendere una pioggia fitta e fastidiosa.
La bambina indossava il cappotto nuovo
di panno rosso e il cappellino di lana a rombi comprati pochi giorni prima ai Magazzini La Fayette a Nizza. La mamma
si stringeva infreddolita alla gola il colletto di finta pelliccia del
soprabito cammello, ormai sbiadito e frusto.
Arrivate al molo furono costrette dagli
spruzzi a tornare indietro, sul viale di palme. La gente si affrettava a fare gli ultimi regali prima della chiusura dei negozi.
“Che facciamo stasera?”
“Resteremo in albergo, ho promesso alla
Signora Lovati di darle una mano in cucina, sai, con tutti quegli ospiti…” La
mamma aveva lo sguardo triste.
“Fa niente, resterò con papà a giocare
a tombola”.
Nella hall trovarono il papà che,
sprofondato in un divano di velluto verde,
leggeva un libro poliziesco. Indossava il completo principe di Galles,
si era appena rasato e aveva un buon profumo di dopobarba. Il papà era sempre
elegante e curato, sembrava un attore, e la bambina lo guardava con ammirazione
e devozione sconfinate. Lui era il suo re.
Gli altri clienti erano quasi tutti
nella sala a scambiarsi gli auguri, in un cicaleccio di convenevoli e saluti.
La Signora Pontremoli portava un delizioso cappellino di velluto bordeaux con
la veletta sollevata sugli occhi.
“ Com’è bella!- pensò la bambina- Da
grande voglio essere come lei. Bella e ricca”.
Il Signor Pontremoli era molto più anziano
della moglie, piccolo di statura e con un grande naso aquilino che spiccava
sulla sua faccia pallida e scavata. Ma era gentile e anche lui profumava, come
il papà, di buon dopobarba. Faceva il commerciante di tappeti ed aveva
accumulato, così si diceva, una fortuna di miliardi subito dopo la guerra.
I tavoli erano stati apparecchiati con
particolare cura e la signora Lovati, aiutata da suo figlio Giuseppe, si
affannava negli ultimi preparativi. In fondo alla sala da pranzo, vicino al
pianoforte a coda, lucido e imponente, era stato sistemato un grande albero di
Natale, addobbato con palline argentate e luci intermittenti. Sulla punta una
cometa di brillantini luccicanti. La bambina ricordò il piccolo albero di
Natale della casa sull’isola, finto e modesto, ma secondo lei il più bello del
mondo, e per un attimo sentì un dolore strano, come una spina conficcata in un
punto preciso della gola.
Era il secondo Natale che passavano
lontani dall’isola. Non le avevano detto niente del trasloco in continente,
semplicemente non erano più tornati a casa dopo le vacanze estive e lei non
aveva più rivisto la sua scuola, le sue amiche, la sua maestra, i suoi
giocattoli. Dopo un mese erano arrivate un paio di casse di legno con qualche
libro, la biancheria, i piatti, ma il resto era stato venduto o regalato. Da
allora non avevano più avuto una casa ed erano stati ospitati un po’ dai nonni
al nord, un po’ dalla zia al mare, e la vita era diventata all’improvviso cupa
e triste, proprio come la faccia della mamma. Nel frattempo aveva dovuto cambiare
scuola due volte e di fronte alla possibilità di un terzo cambiamento aveva
cominciato a piangere e disperarsi, non voleva più andarsene da lì, dal paese
al mare del papà, dove ormai si era fatta delle amiche e aveva cominciato ad
ambientarsi. Piuttosto sarebbe andata in collegio dalle suore, almeno avrebbe
potuto continuare la scuola fino alla fine dell’anno, così aveva detto fra i
singhiozzi. A malincuore, stupiti dalla sua rabbia e preoccupati dalle sue
lacrime, la mamma e il papà avevano deciso di lasciarla lì in collegio ed erano
partiti per il nord, dove il papà aveva trovato un nuovo lavoro, così le
avevano raccontato.
Era arrivato Dicembre. Faceva molto
freddo, in collegio non c’era riscaldamento e lei era poco vestita, ormai il
cappotto le andava corto e stretto e le servivano un paio di scarpe invernali,
di un numero più grande.
Erano venuti a prenderla di notte, in macchina, per le vacanze di Natale. Lei si era sdraiata
sul sedile posteriore con un plaid sulle gambe e subito si era addormentata.
Avevano viaggiato per ore e ore, senza
fermarsi mai.
All’alba erano arrivati a Genova.
Avevano fatto colazione in un auto-grill sull’autostrada: cappuccino e cornetti
caldi.
“Andiamo in Francia, ti va?” le aveva
chiesto il papà con un sorriso dolcissimo. Aveva la faccia stanca e la barba
lunga. La mamma era andata in bagno a darsi una sistemata e dopo aveva i
capelli più in ordine e un rossetto rosa, che un po’ stonava con i suoi vestiti
stropicciati.
Intanto era spuntato il sole.
Arrivarono a Nizza in tarda mattinata.
Alloggiarono in un piccolo hotel nella città vecchia.
A cena in un ristorante tipico il papà
le aveva regalato un mazzetto di viole, e lei col suo cappotto rosso di panno e
il basco scozzese comprati nel pomeriggio, si era sentita una principessa.
Dopo due giorni erano tornati in Italia
in un piccolo paese sulla Riviera dove il papà e la mamma avevano fatto
amicizia con i proprietari di un albergo.
“Vedrai, ti piaceranno” le avevano
detto.
E adesso erano lì a festeggiare il
Natale.
“La mamma dov’è?”- chiese la bambina.
“E’ in cucina a dare una mano. Penso
che ne avrà per tutta la serata. Rimarremo soli io e te, ti dispiace?”
Lei rispose impacciata :
“Un po’, ma non fa niente, non ti
preoccupare.”
La cena era buonissima, c’erano anche
le uova con la maionese uguali a quelle che faceva la mamma, e il vitel tonnè
con i capperi.
Il Signor Pontremoli le sorrise dal
tavolo vicino. Rassomigliava a un pellicano, ma le era simpatico e chissà
perché le faceva un po’ di tristezza. Al
momento del brindisi la mamma venne al tavolo, tutta spettinata e con le guance
rosse.
“Mi fermo solo un attimo, devo tornare
a lavare i piatti. Era buona la cena? L’ho preparata io.” disse tutta di un
fiato, pulendosi le mani sul grembiule a righe bianche e rosse.
Qualcuno stava strimpellando al piano una
musica triste e alcune coppie avevano cominciato a ballare. Anche i Pontremoli.
La Signora si era tolta il cappellino, aveva i capelli corti e ricci, e
sembrava felice abbracciata al suo pellicano.
“Buon Natale -disse improvvisamente la
mamma alla bambina, prendendo qualcosa dalla grande tasca sul grembiule- tieni, è da parte di Babbo Natale. Stavolta è
andata così, ma ti giuro che il prossimo anno, nella casa nuova, saremo di
nuovo tutti insieme e ci saranno tantissimi regali.”
Era commossa mentre parlava, commossa e
imbarazzata. Sembrava che stesse dicendo una bugia, così pensò la bambina: ogni
volta che parlavano della casa nuova i suoi genitori sembravano attori che non
hanno imparato bene la parte, goffi e impacciati, e poco convinti di quello che
stanno dicendo.
Il pacchetto era rosso, con un fiocco
dorato e dei piccoli fiori di carta velina incollati sopra. La bambina lo aprì,
curiosa: era un libro di una scrittrice americana. Si intitolava “Un albero cresce
a Brooklyn”.
“Vedrai, ti piacerà, è la storia di una
bambina come te che, dopo molte peripezie, riesce a realizzare il suo sogno di
diventare scrittrice.”
Che strano, appena un paio di anni
prima, nella casa sull’isola, lei aspettava emozionata che Babbo Natale
arrivasse furtivamente di notte a portarle i regali. Li trovava la mattina dopo
sparsi alla rinfusa ai piedi
dell’albero, e veramente non c’era gioia più grande che scartarli uno a uno e
allinearli per vedere quale fosse il più bello: la bambola africana o la
vestaglia ricamata? I mobili da giardino in miniatura o il libro di avventure?
Bei momenti. Anzi meravigliosi. Ma adesso era tutto finito. Lei era cresciuta e
non credeva più a Babbo Natale. E forse,
proprio per questo, tutto era diventato grigio e triste.
Rientrarono in camera all’una passata,
dopo il panettone, un ultimo brindisi chiassoso e due giri di tombola. I
Pontremoli erano andati insieme ad altre due coppie alla messa di mezzanotte e
ancora non erano tornati.
La bambina si mise il pigiama quasi a
occhi chiusi, poi si accucciò sotto le coperte e prima di crollare in un sonno
profondo sentì la mamma e il papà che sottovoce
facevano strani discorsi:
”Allora cara, domani torniamo al
Casinò, stavolta andrà bene, vedrai, il sistema è sicuro, ci farà vincere un
sacco di soldi, così potremo estinguere il debito con quelle sanguisughe dei
Lovati e pagare l’albergo.”
“Speriamo, perché non ce la faccio più
ad andare avanti così, sapessi come mi ha trattato quella strega in cucina,
sembrava ci provasse gusto a vedermi sgobbare come una schiava. Basta, davvero,
dobbiamo a tutti i costi riavere una casa e stare di nuovo insieme, noi tre…..
“Sss…..parla piano… la bambina dorme…”
La bambina sospirò e borbottò qualcosa.
Stava sognando che la Signora Pontremoli ballava abbracciata con il papà.
Lui era vestito tutto di rosso. Da
Babbo Natale.
E dietro la barba riccioluta gli
ridevano gli occhi.
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