Questo progetto è nato da una sceneggiatura, prova finale in un Master durato due anni. La trama quindi c’era e io amavo incondizionatamente tutti i personaggi, che ormai mi erano entrati nella pelle. Ma non volevo abbandonarli. Quindi ho scritto il romanzo. Anzi il romanzo si è scritto da solo. Una sorta di scrittura automatica che nasceva da una storia che premeva per essere raccontata ancora una volta, in una nuova forma. Un libro a quattro voci e un narratore onnisciente. Si viaggia, dentro e fuori di sé, ci si mette a nudo, in un dialogare intimo, a volte doloroso, con i propri fantasmi. E ci si sposta in tre periodi diversi, le tappe necessarie a conoscere meglio i personaggi e la loro presa di coscienza. I luoghi sono Firenze, Parigi e il Centro America, e ognuno di essi è testimone e complice di storie d’amore. E non solo quello romantico, passionale, di coppia, ma anche quello di un genitore per il proprio figlio, piccolo, adolescente o adulto che sia, un sentimento talmente forte e ambivalente che spesso si fa fatica a esprimerlo e a rappresentarlo.
E poi l’amore per l’Arte. Che
vivifica e guarisce le ferite. Che aiuta ad elaborare il dolore e a manifestare
la gioia assoluta. Che diventa, in certi momenti, l’unico appiglio. E che non tradisce
o abbandona. Mai. Infine l’amicizia. Quella che si
fa scudo per proteggerci. E consola, sostiene, abbraccia. Scrivendo questo
libro ho provato molta tenerezza, per ogni singolo personaggio. E anche per me
che, attraverso quelle storie, sono entrata in contatto con emozioni e luoghi
frequentati ed amati, trasfigurati da una narrazione nuova che mi ha permesso di
ricomporre qualche incrinatura. Proprio
come fa il Kintsugi quella tecnica giapponese che ripara i vasi rotti
inserendo nelle crepe un filo d’oro. Evidenziandone sì le fratture, le imperfezioni, ma nello
stesso tempo rendendole preziose.
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