lunedì 30 marzo 2015

PICCOLE IMPERFEZIONI



Amo le cose imperfette. Un vecchio tavolo con i graffi di un gatto, una tazzina sbeccata, una finestra sghemba, un divano di velluto consumato con l’impronta dei corpi, insomma amo le tracce lasciate dal tempo, e rimango letteralmente incantata dalle vecchie fabbriche abbandonate o dai casolari in rovina. E Terracina, la mia città, per molti versi piuttosto trascurata, ha degli angoli imperfetti che emanano una soffusa poesia.
E amo anche le facce imperfette, con i segni del tempo che danno alle persone una luce speciale, che proviene direttamente dall’anima. E’ inutile che vi nasconda la mia avversione per quegli interventi di chirurgia plastica che cambiano per sempre i connotati. Anna Magnani, che certo non si può considerare una bellezza classica, disse una volta che amava le sue rughe perché ci aveva messo tutta la vita a  farsele venire. Ma guardiamoci intorno: volti siliconati, dagli zigomi e dalle labbra inverosimili. Maschere. Per nascondere cosa? Le emozioni? I sentimenti? Nel suo bellissimo libro “La forza del carattere” James Hillman, il grande psicoanalista e filosofo, esprime il suo parere a riguardo e ci dice una cosa secondo me importantissima: i volti, resi inespressivi dal botulino o dal silicone, nella loro mimica ridotta impediscono a noi che li guardiamo di interagire a livello empatico ed emotivo, veniamo cioè deprivati di tutte quelle emozioni che scaturirebbero dal confronto  con il sorriso, le espressioni e i corrugamenti di un viso non artefatto. Che peccato.Copertina anteriore
E che belle le facce dei vecchi e delle vecchie intervistati da Eleonora Danco nel suo bel film, NCAPACE poetico e intenso, ! Facce rugose, avvizzite, con i segni del tempo, della fatica, dei dolori, ma anche delle gioie, degli entusiasmi, dei ricordi. E che si illuminano o adombrano a seconda di quello che gli intervistati raccontano. Facce vive, mobili, autentiche. E uniche, non omologate da una moda, secondo me assurda, che non fa altro che privarci della nostra unicità, della nostra autenticità, della nostra luce.


Ma tornando agli oggetti, io sono per il recupero. Il mio vecchio tavolo, della fine dell’ottocento, sicuramente bisognoso di un restauro piuttosto costoso che prima o poi gli concederò, conserva nella madia al suo interno un impercettibile odore di naftalina.
Chissà quante tovaglie ricamate, quanti corredi di lino, stirati con cura, avrà conservato per anni e anni! E quanti pranzi di Natale, compleanni, battesimi, matrimoni, avrà festeggiato! E pensare che se ne stava abbandonato in un garage di una mia amica di Firenze, che non vedeva l’ora di disfarsene. E la mia casa, della fine del ‘700, anche lei bisognosa sicuramente di qualche intervento di ristrutturazione, ha visibili segni lasciati dal tempo, che io non mi sognerei mai di cancellare. In qualche punto l’intonaco delle pareti si è staccato, lasciando intravedere le vecchie decorazioni blu cobalto e rosso pompeiano. I vecchi pavimenti degli anni 30-40 hanno qualche piccola crepa, le porte, hanno dei chiavistelli piuttosto malandati, ma sono molto antiche e non le cambierei per nessun motivo al mondo, il corridoio, che corrisponde al vecchio camminamento, con le finestrelle affacciate sulle colline, è uno spazio apparentemente inutile, ma io AMO i corridoi. Insomma, la mia casa è imperfetta, ma è ricca di atmosfera e poesia. 
 E si sente, me lo dicono tutti, che ha un'anima, una storia, una personalità e una naturale vocazione all'accoglienza. Le piace ospitare, accudire, proteggere. Lo ha fatto con me e con mia figlia e lo sta facendo con i numerosi amici e ospiti di passaggio. "Mi casa es tu casa". E' bello, è vero. E sull'ospitalità avrò presto da raccontarvi molte cose. Oltre che sul film di Eleonora Danco (che mi ha veramente molto commossa). Ma per far decantare le emozioni, prima di parlarvene ho bisogno di aspettare ancora qualche giorno.




 

venerdì 27 marzo 2015

ISTANBUL


Cinque giorni a Istanbul con un'amica nella primavera del  2011. I ricordi sono nitidi e profumati, ma si accavallano. Per raccoglierli e sintetizzarli ho deciso di condividere con voi gli Haiku che ho scritto subito dopo il viaggio, e alcune foto. Questa volta sarò di poche parole.


   Palazzi bianchi
   Bosforo al tramonto
   cresce la luna





  Terrazza bianca

  annuncio di preghiera

  dai minareti.






Case di legno
mercanti sorridenti

l’aria profuma.










Vecchio tram rosso

di legno consumato

su in salita.









Il lustrascarpe
perde i suoi attrezzi

scherzo antico





Nel Bazar grande

hennè e zafferano

folla contenta.


Diafana luce  
battelli scivolano

sul Mar Marmara.




 

Freddo pungente

primavera tardiva

Sultanahmet sorride















Piatto d'ottone
succosi melograni
in abbondanza









 


Brusio sommesso

il silenzio che nutre
sarà rumore










Hammam fumoso

d’essenze  e saponi

ventre di madre








Viaggio sereno
insieme all’amica 
dolce ricordo.

                          


                                







 




Moschea blu
a piedi scalzi prego
capo velato


lunedì 23 marzo 2015

UNA GIORNATA DA NON DIMENTICARE



La scorsa estate sono stata in vacanza sulla Costa Azzurra con una mia carissima amica. Siamo state ospitate da una mia anziana zia a St. Raphael e da lì ogni giorno partivamo per le nostre escursioni: St.Tropez,  Antibes, Grasse, St.Paul de Vence e l’Abbazia di Thoronet, piuttosto malmessa ma ricca di fascino.

 Si sa la Costa Azzurra è un luogo di villeggiatura per ricchi: dappertutto boutiques e ristoranti raffinati, alberghi di lusso e, cosa orribile, nel porticciolo di St. Tropez, che avevo visitato vent’anni fa e che ospitava solo qualche peschereccio, era ancorata una  nave da crociera. I parcheggi costavano un occhio della testa e abbiamo avuto la sventura di fare la spesa in un grande magazzino dalle dimensioni mastodontiche, dove ho rischiato un attacco di panico per agorafobia. Ma ogni viaggio, anche se diverso da come ce lo saremmo immaginato (io mi aspettavo tranquille distese di lavanda, ma erano un pochino più all’interno) riserva sempre delle sorprese. A St. Paul de Vence, piccolo villaggio invaso dai turisti, che per fortuna, nell’ora più calda, verso le due del pomeriggio, erano tutti a rifocillarsi in qualche bistrot o sotto i platani a mangiare panini, siamo andate nel piccolo cimitero fiorito a cercare la tomba di Chagall


Abbiamo vagato per mezz’ora sotto il sole, fra il chiasso assordante delle cicale e il profumo acre degli oleandri,  ma niente, non riuscivamo a trovarla. La cercavamo fra quelle più curate e adorne di fiori, ma ci imbattevamo soltanto nelle cappelle di famiglia dei notabili del posto. Stavamo per andarcene, un po’ deluse, quando finalmente l’abbiamo trovata: era all’ingresso, sulla destra, nuda, di pietra, senza fiori, con tanti sassolini e monetine intorno, messi lì dai visitatori, secondo l’usanza ebraica. Commovente la semplicità e l’essenzialità e leggere i nomi che vi erano incisi, quelli del pittore e di sua moglie e quello di un suo grande amico. Insieme, per l’eternità. Anch’io ho messo il mio sassolino, l’ho scelto con cura e l’ho baciato prima di appoggiarlo sulla pietra bianca. Grazie Marc Chagall, per averci regalato tanta bellezza, tanti colori, tanta leggerezza e tanto amore. I tuoi amanti che volano nel blu sono per me la rappresentazione perfetta dell’amore. E  grazie per essere vissuto così a lungo e per farci sentire che il tuo cuore generoso e la tua arte non moriranno mai.
 
Quello stesso pomeriggio abbiamo visitato la Fondazione Maeght, interamente dedicata all’Arte Moderna e Contemporanea, poco distante dal paese.

A dire la verità io non sapevo neanche che potesse esistere un posto così, un museo a cielo aperto, in cui il dentro e il fuori sono mirabilmente armonizzati, in un incontro di arte e natura che si fondono felicemente : sculture, installazioni, fontane, giochi  d’acqua, dipinti, murales e alberi, cespugli, fiori, cicale... 

La struttura modernissima, inaugurata nel ’64, si trova all’interno di un grande parco, dove sulle terrazze e all’aperto si possono ammirare opere di Calder, Mirò, Giacometti, Braque, e nelle stanze all’interno dipinti di Chagall, Matisse, Bonnard, Mirò e molti altri artisti.  Ma quella giornata così proficua non è finita lì.
Dopo tanta bellezza e tanti stimoli ci voleva un momento di raccoglimento. Quale luogo migliore se non la Cappella di Matisse? Piccola e raccolta, spoglia, con il blu assoluto e il giallo delle vetrate e i disegni stilizzati in bianco e nero sulla Via Crucis alle pareti. E il cemento, scaldato dalla luce filtrata dal vetro, la pietra  dell’altare in un unico blocco, i candelabri... E nella stanza accanto, i paramenti sacri dai colori brillanti, con una serie di foto dell’artista, dalla figura possente, ma già malato, con l’uso limitato delle mani, e il fedele bastone a fargli da sostegno e da aiutante.
A concludere una giornata tanto prodiga di bellezza, dopo una cena a base di omelette alle erbe e formaggi squisiti e molto odorosi, innaffiati da un buon vino rosso, la sorpresa di un meraviglioso sorbetto fatto dalla mia premurosa zia con le pesche comprate nel mastodontico e avveniristico supermarket. Profumi, sapori, colori, emozioni: una giornata da non dimenticare.



sabato 21 marzo 2015

L'ARTE DI ELABORARE IL DOLORE







Qualche anno fa per il mio compleanno mi sono fatta un regalo speciale. Sono andata a Napoli a vedere la mostra di Louise Bourgeois al Museo Nazionale di CapodimonteSono stata ospitata da una mia cara amica che ha una casa bellissima che si affaccia su Piazza Plebiscito e mi sono concessa delle meravigliose colazioni al Gambrinus, bar storico che ogni volta mi emoziona. Come pure mi emozionano la gentilezza e il calore dei napoletani, che mi fanno sentire subito a casa, in una casa caotica e rumorosa, ma vitale e generosa, buona. A Napoli gli uomini sono gentili e hanno quel comportamento un po’ cavalleresco che da  ormai da tempo viene piuttosto trascurato. E per la strada, anche se non sei più giovane, ti guardano e ti sorridono. Ho atteso l’ultimo giorno per andare a visitare la mostra. Era da tanto che aspettavo un occasione del genere, Louise era quasi centenaria  e volevo vedere le sue opere prima che lei se ne andasse, per trasmetterle la mia ammirazione e il mio affetto, che sicuramente, lo sapevo, in qualche modo invisibile e misterioso, le sarebbero arrivati. Quel 3 dicembre era una giornata fredda e piovosa. Il museo era deserto, eravamo solo tre visitatori. Dopo pochi minuti ci siamo dispersi per le sale e io mi sono trovata tutta sola, a parte qualche raro e distratto custode, a tu per tu con le opere del mio mito.  Nell’atrio un enorme ragno di ferro.
Un’opera possente e nello stesso tempo delicata. E via via nelle varie sale, in un progetto estremamente visionario e coraggioso, la modernità delle installazioni, delle forme, dei tessuti strappati e solcati, dei falli appesi, delle maschere, dei manichini, delle gabbie di ferro, contrapposti ai dipinti di Caravaggio, Pollaiolo, Raffaello, Tiziano e molti altri pittori, in un contrasto apparentemente provocatorio e dissacrante che spiazzava e mi provocava un tuffo al cuore. Ho vagato come in trance per quelle sale, sola, sembrava quasi un film. Tanta modernità e tanta classicità in una sede di per sé meravigliosa, nel silenzio totale, nello spazio vuoto, ormai abituata a mostre sovraffollate. Un sogno, un miracolo. In una sala enorme, dove ho immaginato si svolgessero delle grandi feste, con danze e musiche, non ho potuto fare a meno di mettermi a ballare. A occhi chiusi ho danzato, come rapita da quell'atmosfera, sperando che il custode nella sala adiacente non se ne accorgesse. 

      







Ma i miei passi erano delicati e silenziosi e comunque sapevo che un’occasione come quella non mi sarebbe mai più capitata nella vita, mai più. Estasi, commozione, gratitudine. Un bel regalo, veramente. E Louise Bourgeois era lì con me, con tutta la sua energia, la sua rabbia,  e il suo sorriso buffo da bambina. Nella sua casa atelier di N. York ha accolto fino all’ultimo i giovani artisti che volevano imparare da lei il segreto della sua forza e della sua enorme creatività. E il segreto stava lì, nel suo dolore, che doveva essere vivisezionato, rappresentato, sublimato. Il dolore di un tradimento vissuto da bambina. Suo padre era diventato l’amante della nurse e sua madre, che lo sapeva, non aveva saputo impedire che la menzogna e la finzione si impadronissero di quella casa e di quella famiglia all’apparenza così per bene, così borghese. E Louise per tutta la vita ha dovuto combattere contro quella menzogna, per non venirne sopraffatta. Il grande ragno era la madre, così ha raccontato lei, che tesseva  la sua tela e non si preoccupava dei piccoli, rappresentati da piccole biglie di ferro. E tutta la sua arte è imbevuta di quel dolore antico, di quella rabbia, che lei ha saputo plasmare, a volte in maniera grottesca, in piccole opere, spesso a carattere erotico, e altre volte ingigantire a dismisura, creando dei mostri che incombono e non ci fanno certo distrarre dal dolore primario.
Eppure a vedere le sue foto, Louise Bourgeois ha un’espressione felice, il viso solcato da rughe infinite ha una bellezza infantile, come pure il suo sguardo, buffo, ammiccante, curioso,  con una impercettibile vena di malizia. Louise è morta due anni dopo quella mostra. Le hanno dedicato una retrospettiva a Venezia, ma io non ci sono andata. Il ricordo delle sale deserte della Reggia di Capodimonte e di quel ragno nell’atrio, era dentro di me, al caldo, commosso, ben protetto e io non volevo confonderlo con altri ricordi. 

domenica 15 marzo 2015

L'ARTE DI FERMARSI


Siamo tutti stanchi. Corriamo, ci affanniamo, facciamo le cose in maniera automatica e non ci rendiamo conto che in questo modo ci perdiamo molte cose belle.  Arriviamo a sera esausti e per riposarci crediamo di trovare sollievo standocene incollati davanti alla televisione oppure davanti al computer. Ma la giornata è fatta di 24 ore. E, levandocene 7 per il sonno (anche quello molto spesso  disturbato dai miliardi di stimoli e sollecitazioni in più che ci siamo autosomministrati o che non abbiamo saputo evitare: no grazie, questo pettegolezzo non mi interessa, questa trasmissione non mi piace, questa conversazione su facebook neppure....) in queste 17 ore che passiamo svegli, quanto riusciamo a essere veramente presenti? E quanto godiamo della nostra giornata? Ci lamentiamo del tempo, dei mariti, dei figli, dei reumatismi, delle bollette da pagare... ci lamentiamo della vita che è così come è. A pensarci bene soffriamo molto di più di quanto dovremmo soffrire e godiamo molto meno, perchè lo spazio e il tempo della nostra vita sono soffocati dalla sofferenza. E qui mi viene in soccorso un concetto che io amo molto, quello della seconda freccia “È come se un arciere, dopo aver colpito un uomo con una freccia, lo colpisse ancora con una seconda freccia. Sicché quell’uomo patirà il dolore di due ferite. Lo stesso accade all’ignorante, che soffre a causa di due dolori, quello fisico e quello mentale.”
 E’ un insegnamento del Buddha che risale a 2500 anni fa. 

 
Appena abbiamo un problema o un dolore, anche fisico, quindi abbiamo la nostra bella freccia conficcata in un fianco, che fa male, molto male, invece di cercare di capire come estrarla e come curare la ferita, ce ne conficchiamo un’altra, con le nostre mani. E  la nostra mente, grande torturatrice, incomincia a fare il suo lavoro: uffa queste tasse...come farò  a trovare i soldi...sono proprio una persona sfortunata...capitano tutte a me....quando ero giovane non avevo tutti questi dolori...chissà che vecchiaia terribile mi aspetta...perchè mio figlio, il mio fidanzato, mio marito ritarda? Chissà cosa gli è successo....E via dicendo, la mente è molto abile nel creare scenari apocalittici, di tutti i tipi. Si chiama ansia, si chiama pre-occupazione, si chiama assillo. E la mente lavora, lavora, chiacchiera a ruota libera dentro di noi che diventiamo il suo zimbello. E quante volte ci rendiamo conto poi che le nostre previsioni catastrofiche non si sono avverate  e che ci siamo pre-occupati (il trattino ha la sua importanza) inutilmente, i nostri figli sono tornati a casa sani e salvi, i dolori sono passati, oppure no, ma possiamo curarli, le tasse vanno pagate e così pure le bollette, le stagioni servono e sono tutte belle e quando piove i temporali sono temporali e l’inverno deve fare freddo e bisogna coprirsi di più e mangiare dei buoni piatti caldi.... I vecchi dicono alzando le spalle, con un sorriso: è la vita!. Ma non sono rassegnati, sono saggi. Loro che hanno patito veramente la fame, il freddo, la miseria, la precarietà dicono: così è la vita... E ci guardano un po’ preoccupati  perché ci vedono tristi e affannati, con le nostre case  riscaldate, i piumoni, i piumini, le automobili, i frigoriferi con tutto quello che serve a nutrirci, anche in questi tempi di crisi.... e loro non capiscono perché. Loro non si conficcavano la seconda freccia. Affrontavano i momenti difficili, facendo quello che andava fatto, scegliendo con saggezza l’azione migliore, la parola più giusta, prendendosi lo spazio mentale per farlo. Invece noi questo spazio lo abbiamo riempito a dismisura, di immagini, pensieri, rumori, azioni frenetiche. Ma ci può essere un rimedio a tutta questa confusione? Certo che c’è, altrimenti non avrei chiamato questo mio blog “dimmi una cosa bella”. Il rimedio è FERMARSI. Ogni tanto fermarsi e tornare a quello che stiamo facendo: guidare, lavare i piatti, tagliare le verdure, lavarsi i denti. Fare quello che c’è da fare, concentrandoci sul momento presente. Ed è lì che la nostra mente diventa improvvisamente spaziosa e di nuovo vediamo, tocchiamo, annusiamo, percepiamo quello che abbiamo davanti, senza il chiacchiericcio mentale che intorbida  tutto e ci distrae dalla bellezza del gesto semplice, nudo, persino elegante se sappiamo farlo in presenza mentale, con la mente e il corpo finalmente amici e non in guerra fra di loro. Guardiamo i nostri vecchi: quella che a volte a noi dà fastidio e ci sembra lentezza, è solamente attenzione, cura, appunto presenza. Altro rimedio quindi è rallentare: Quante volte, senza rendercene conto, corriamo, anche quando non ce ne sarebbe bisogno? Quante volte i nostri gesti sono frettolosi, sgraziati, stereotipati? Quante volte le nostre parole vengono pronunciate senza un minimo momento di riflessione? E tutto questo crea disarmonia, paura, ansia, in un circolo vizioso senza fine. Non voglio sembrare il grillo parlante. So bene di cosa parlo e conosco  anche io l’ansia, l’assillo, la fretta. Ma sto cercando da qualche anno di riprendere in mano la mia vita e di viverla con maggiore presenza. Si può fare. E’ un allenamento, è una ricerca, è uno sforzo, che però ci ricompensa con frutti succosi e buoni. Come abbiamo potuto privarcene fino a questo momento?

martedì 10 marzo 2015

INVERNO LUNGO E BAGNATO

Inverno lungo e bagnato. Per questo apprezzo così tanto questa apertura nel cielo che preannuncia, e le previsioni lo confermano, qualche giornata di sole. E fra pochi giorni sarà primavera. La mia stagione preferita. Che poi non è vero perchè amo tutte le stagioni, ma ogni volta dico così, forse perché lo dicono tutti. Il problema è che non riusciamo mai a goderci le cose nel momento in cui avvengono, siamo sempre un tantino proiettati oltre: quando arriverà la primavera, quando arriverà l’estate, quando arriverà Natale...e mai, dico mai che riusciamo a godere di quello che c’è.

Ma vediamo un po’: cosa mi è piaciuto di questo lungo inverno? E cosa ho scoperto?
Che mi sono concessa il lusso di andare a dormire un pochino prima del solito, godendo dell’abbraccio del mio piumone turchese e della mia copertina di alpaca fucsia (che come colori insieme stanno benissimo), e della lettura di qualche libro di poesia;
che mi sono cucinata delle minestre buonissime, che avevano come comune denominatore, oltre alle verdure varie, lo zenzero e la curcuma, che fanno bene alla salute e prevengono un sacco di malattie;
che sono stata a Roma, che è bella in tutte le stagioni, per il Master al quale mi sono iscritta, e ho riprovato l’ebbrezza di essere una matricola. La prima  sera, tornando a piedi da S. Lorenzo verso la Stazione Termini , mi sono persa, ma questa è un’altra storia. Ero talmente contenta di aver ripreso a studiare, anche se sono la più vecchia del corso, ma sono tutti gentili e non me lo fanno pesare, che mi sono goduta questo vagare in cerca della strada giusta. E ho perso il treno per Terracina, ma quello dopo era diretto, cioè quasi, insomma era più comodo;
che insieme al mio gruppo di scrittura del lunedì ci siamo godute dei tramonti straordinari dalla mia finestra sulla piazza, assaporando in un silenzio veramente magico, un buona tisana nelle tazze colorate che ho comprato da Orizzonte, a 1 euro l’una;
che sono andata al cinema una media di due volte a settimana e spesso sono tornata a casa a piedi e ogni volta vedere Piazza Municipio, deserta e con il lastricato romano umido di pioggia, è uno spettacolo che mi commuove;



che dopo un grande, grandissimo dolore, sono riuscita, piano piano, un giorno alla volta, grazie a mia figlia, alle mie amiche, a un amico ritrovato, alle molte persone gentili che ho incontrato  e a Lucy, la mia gatta, a sentire che, anche se

non le vediamo più,  le persone care non si perdono, sono dentro di noi, nei gesti, nelle abitudini, nei ricordi belli. Soprattutto se si tratta di una mamma;
che fare Yoga, guidata da Francesca, che non ho mai visto senza sorriso e gli occhi luminosi e allegri, è un esperienza ogni volta più intensa e rasserenante;
che.... molte altre cose ancora.

Ma adesso già assaporo la primavera, la sento, l’annuso nell’aria, che seppure ancora fredda e umida, porta sentori di rinascita, di fiori che si apprestano a fiorire, di giornate più lunghe, di merli che saltellano sul prato del giardino.



Avete presente i merli che saltellano? Guardateli con attenzione, sono buffi e aggraziati nello stesso tempo, e molto veloci. Mi sono simpatici i merli, mi fanno allegria. E le rondini? Io scrivo sulla mia agenda la data del loro arrivo. Di solito è fra la fine di marzo e i primi di aprile. Quando sento la prima rondine, tendo l’orecchio, potrei essermi sbagliata, ma subito dopo ne sento un’altra e un’altra ancora, una specie di pigolio, e poi incominciano a volteggiare nel cielo, ed è più forte di me, mando subito un messaggio a mia figlia, ormai è una consuetudine, Sono arrivate!