Siamo tutti stanchi. Corriamo, ci
affanniamo, facciamo le cose in maniera automatica e non ci rendiamo conto che
in questo modo ci perdiamo molte cose belle.
Arriviamo a sera esausti e per riposarci crediamo di trovare sollievo
standocene incollati davanti alla televisione oppure davanti al computer. Ma la
giornata è fatta di 24 ore. E, levandocene 7 per il sonno (anche quello molto spesso disturbato dai
miliardi di stimoli e sollecitazioni in più che ci siamo autosomministrati o
che non abbiamo saputo evitare: no grazie, questo pettegolezzo non mi
interessa, questa trasmissione non mi piace, questa conversazione su facebook
neppure....) in queste 17 ore che passiamo svegli, quanto riusciamo a essere
veramente presenti? E quanto godiamo della nostra giornata? Ci lamentiamo del
tempo, dei mariti, dei figli, dei reumatismi, delle bollette da pagare... ci
lamentiamo della vita che è così come è. A pensarci bene soffriamo molto di più
di quanto dovremmo soffrire e godiamo molto meno, perchè lo spazio e il tempo
della nostra vita sono soffocati dalla sofferenza. E qui mi viene in soccorso
un concetto che io amo molto, quello della seconda freccia “È come se un
arciere, dopo aver colpito un uomo con una freccia, lo colpisse ancora con una
seconda freccia. Sicché quell’uomo patirà il dolore di due ferite. Lo stesso
accade all’ignorante, che soffre a causa di due dolori, quello fisico e quello
mentale.”
E’ un insegnamento del Buddha che risale a 2500 anni fa.
E’ un insegnamento del Buddha che risale a 2500 anni fa.
Appena abbiamo un problema o un dolore, anche fisico, quindi abbiamo la nostra bella freccia conficcata in un fianco, che fa
male, molto male, invece di cercare di capire come estrarla e come curare la
ferita, ce ne conficchiamo un’altra, con le nostre mani. E la nostra mente,
grande torturatrice, incomincia a fare il suo lavoro: uffa queste tasse...come
farò a trovare i soldi...sono proprio
una persona sfortunata...capitano tutte a me....quando ero giovane non avevo
tutti questi dolori...chissà che vecchiaia terribile mi aspetta...perchè mio
figlio, il mio fidanzato, mio marito ritarda? Chissà cosa gli è successo....E via dicendo, la mente è molto
abile nel creare scenari apocalittici, di tutti i tipi. Si chiama ansia, si
chiama pre-occupazione, si chiama assillo. E la mente lavora, lavora,
chiacchiera a ruota libera dentro di noi che diventiamo il suo zimbello. E
quante volte ci rendiamo conto poi che le nostre previsioni catastrofiche non
si sono avverate e che ci siamo pre-occupati (il trattino ha la sua importanza)
inutilmente, i nostri figli sono tornati a casa sani e salvi, i dolori sono
passati, oppure no, ma possiamo curarli, le tasse vanno pagate e così pure le
bollette, le stagioni servono e sono tutte belle e quando piove i temporali
sono temporali e l’inverno deve fare freddo e bisogna coprirsi di più e
mangiare dei buoni piatti caldi.... I vecchi dicono alzando le
spalle, con un sorriso: è la vita!. Ma non sono rassegnati, sono saggi. Loro
che hanno patito veramente la fame, il freddo, la miseria, la precarietà
dicono: così è la vita... E ci guardano un po’ preoccupati perché ci vedono tristi e affannati, con le
nostre case riscaldate, i piumoni, i
piumini, le automobili, i frigoriferi con tutto quello che serve a nutrirci,
anche in questi tempi di crisi.... e loro non capiscono perché. Loro non si
conficcavano la seconda freccia. Affrontavano i momenti difficili, facendo
quello che andava fatto, scegliendo con saggezza l’azione migliore, la parola
più giusta, prendendosi lo spazio mentale per farlo. Invece noi questo spazio
lo abbiamo riempito a dismisura, di immagini, pensieri, rumori, azioni
frenetiche. Ma ci può essere un rimedio a tutta questa confusione? Certo che
c’è, altrimenti non avrei chiamato questo mio blog “dimmi una cosa bella”. Il
rimedio è FERMARSI. Ogni tanto fermarsi e tornare a quello che stiamo facendo:
guidare, lavare i piatti, tagliare le verdure, lavarsi i denti. Fare quello che
c’è da fare, concentrandoci sul momento presente. Ed è lì che la nostra mente
diventa improvvisamente spaziosa e di nuovo vediamo, tocchiamo, annusiamo,
percepiamo quello che abbiamo davanti, senza il chiacchiericcio mentale che
intorbida tutto e ci distrae dalla
bellezza del gesto semplice, nudo, persino elegante se sappiamo farlo in
presenza mentale, con la mente e il corpo finalmente amici e non in guerra fra
di loro. Guardiamo i nostri vecchi: quella che a volte a noi dà fastidio e ci
sembra lentezza, è solamente attenzione, cura, appunto presenza. Altro rimedio
quindi è rallentare: Quante volte, senza rendercene conto, corriamo, anche quando
non ce ne sarebbe bisogno? Quante volte i nostri gesti sono frettolosi,
sgraziati, stereotipati? Quante volte le nostre parole vengono pronunciate
senza un minimo momento di riflessione? E tutto questo crea disarmonia, paura,
ansia, in un circolo vizioso senza fine. Non voglio sembrare il grillo
parlante. So bene di cosa parlo e conosco anche io l’ansia, l’assillo, la
fretta. Ma sto cercando da qualche anno di riprendere in mano la mia vita e di
viverla con maggiore presenza. Si può fare. E’ un allenamento, è una ricerca, è
uno sforzo, che però ci ricompensa con frutti succosi e buoni. Come abbiamo
potuto privarcene fino a questo momento?
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