Ho scritto questo racconto alcuni anni fa. Lo condivido oggi, per dichiarare ancora una volta, più forte che mai, il mio amore per la Grecia
GRECIA MADRE
Io amo la
Grecia. E’ come se ci fossi nata. E’ lo stesso amore che provo per il Sud
Italia, con una vena in più di struggimento, di nostalgia. E’ un sogno di luce
e di calore perché la Grecia è luminosa e calda, accogliente e gentile. Ti ci senti
subito a casa ed è una casa caotica, colorata e rumorosa. Allegra. E i greci
sono i nostri fratelli sorridenti, forse i più ospitali con noi. “Una faccia,
una razza” ci tengono a dirti appena sanno che sei italiano. E si prodigano a
trovarti una stanza, a darti un’indicazione, a consigliarti un ristorante.
Il primo viaggio
in Grecia l’ho fatto nel 1977. Ero giovane e innamorata e vivevo a Firenze in
una piccola casa con Pantazis, uno studente greco. Era di Serres in Macedonia,
aveva gli occhi color nocciola, i capelli biondi e una voce cantilenante come
una musica che mi faceva rimanere incantata, specialmente quando parlava greco
con i suoi amici. Imparai un po’ alla volta, soprattutto per curiosità, a
orientarmi in mezzo a quei fiumi di parole, a indovinarne almeno il senso, e
poi pian piano a costruirmi un discreto vocabolario, fatto all’inizio
soprattutto di frasi colorite, poi di termini mangerecci e via via, allargando
lo sguardo, fino agli oggetti e ai luoghi. Entusiasmante questo mio aprirmi a una
lingua sconosciuta che aveva molto in comune con la nostra, pur essendo così
diversa, soprattutto nel suono. Il viaggio da Firenze durò 24 ore. Passammo
dalla Iugoslavia: Lubiana, Zagabria, Belgrado, Skopie quasi al confine.
Arrivammo a Salonicco a notte avanzata. La prima sensazione fu di gioia
assoluta. Si sentiva dagli odori, dai rumori, dall’atmosfera complessiva, di
essere alle porte dell’Oriente. Un allegro disordine, un’anarchia nelle case e
nelle strade mi ricordavano a tratti il nostro sud, con ancora più caos,
variopinto e chiassoso. Vitale. Che mi dava energia, passione. Mi sentivo a
casa. La prima cosa che assaggiai fu lo yogurt. Cremoso, succulento, una panna.
Da leccare il vasetto con le dita per non perderne neanche una goccia. E poi
tutto il resto. I sapori erano più forti, speziati, perfino il vino era
profumato. Tutti i sensi erano sollecitati e mi sentivo più viva e presente. Andammo a Serres dai nonni
di Pantazis e poi a Xanti ai confini con la Turchia a trovare sua madre.
Passammo per Kavala, una bellissima città sul mare, tutta bianca. E poi sul
Monte Pilion, un promontorio con spiagge meravigliose dal mare turchese.
Imparai nuove parole e frasi più articolate. Mi sentivo orgogliosa del mio
nuovo alfabeto, uno strumento in più per comunicare. Imparai a ballare quei
balli tutti in cerchio, vecchi e bambini insieme, strumenti antichi e musiche
struggenti, in quelle piazzette con i piccoli caffè all’ombra di grandi platani
e le cicale che frinivano impazzite. Ho fatto il bagno nuda in baie deserte con
ulivi contorti e piccoli cipressi fin sulla sabbia. Ho mangiato fichi succosi
raccolti sulla spiaggia e pesce arrostito sulla brace di legni profumati. Ho
sorseggiato caffè turco e bevuto retsina
e ouzo aromatici fino allo
stordimento. Mi sono svegliata all’alba che sapeva di origano e mentuccia, al
canto di un gallo che cantava ogni mezz’ora, puntuale come un pendolo.
Ho amato la
Grecia e sono stata contraccambiata in abbondanza. E questo amore, come tutti
gli amori, si è nutrito di assiduità e di sollecitudine. Anche se ancora erano
tanti i paesi che volevo visitare e il mondo era lì che mi aspettava, non
potevo rinunciare alle mie partenze in nave fino a Patrasso o al Pireo,
commuovendomi non appena sentivo pronunciare le prime parole greche che mi
annunciavano che ero arrivata.
Anche dopo la
fine del mio amore con Pantazis, i viaggi in Grecia si sono susseguiti con
cadenze regolari. Ogni 3 o 4 anni la nostalgia si faceva più prepotente e io
partivo, con lo stesso spirito curioso di ragazza, alla scoperta di un mondo
incantato pieno di sorprese: la Grecia Classica, le isole dell’Egeo, Atene,
splendida nella sua luce, abbagliante con tutto quel bianco, caotica ma
pulsante di vita e di profumi. E il Partenone, senza dubbio il luogo al mondo dove
io sento più potente la presenza di chi mi ha preceduto e la maestosità della
storia.
Poi ci ho voluto
portare mia figlia. Aveva solo dieci anni ma era già una grande viaggiatrice.
Si era preparata da sola uno zaino azzurro con il minimo indispensabile, ricordo
che il giorno della partenza indossava un vestitino a righe turchesi e un
cappello di paglia di Firenze. Sembravamo due esploratrici. Prima tappa fu
Patrasso dove andammo a trovare la mia amica Melania che si era sposata con
Costas, un ragazzo conosciuto a Firenze e che ora faceva l’otorino. Ci fermammo
solo pochi giorni, il tempo di curare Olivia, che si era procurata una brutta
otite facendo centinaia di tuffi nella piscina del traghetto. Ma eravamo
capitate bene, Costas la curò perfettamente. Poi andammo a Salonicco a trovare
Pantazis. Erano anni che non lo vedevo. Fu molto ospitale e ci accolse in una bellissima
casa dai pavimenti di marmo bianco e i tappeti persiani. Andammo a Serres a
salutare i suoi che mi fecero un sacco di feste. Sua madre Pitsa, diminutivo di
Calliopi, regalò a Olivia una piccola croce bizantina, incastonata di
brillantini. Vidi dopo tanto tempo Ugo, il cane che avevamo preso cucciolo
insieme e che adesso aveva 14 anni. Piansi tutte le mie lacrime nel ritrovarlo vecchio e zoppicante e mi venne in
mente Ulisse con il cane Argo. Universalità dei sentimenti, al di là del tempo
e dello spazio! Avevo bisogno di quiete e chiesi a Pantazis di accompagnarci su
un’isola tranquilla. Ci lasciò sulla Penisola Calcidica e prendemmo il traghetto
per Amullianì, un’isoletta che neanche si vede sulle carte geografiche. Fu una
vacanza riposante. La mattina andavamo al mare e il pomeriggio Olivia si
avventurava ad esplorare calette e spiagge nascoste mentre io leggevo un libro.
Ero tranquilla, gli abitanti ormai ci conoscevano ed erano gentili e protettivi
e mia figlia si sentiva una piccola Robinson Crusoe. Venne l’11 agosto, giorno
del suo compleanno. Le regalai un vasetto dipinto a mano e una semplice
collanina con delle pietruzze bianche e rosa, ma in cuor mio avrei voluto farle
una vera festa. Ma a volte succedono i miracoli. Al tramonto vedemmo arrivare
in fila indiana un piccolo corteo composto da Pantazis, la sua ragazza, suo
padre Alekos e un amico, carichi di doni come i Re Magi. E in coda Ugo,
zoppicante. Avevano portato anche una torta di panna e fragole a più strati,
come quelle di Nonna Papera. Andammo tutti a festeggiare in un piccolo caffé dalle
sedie e i tavolini azzurri. Fu una
serata bellissima. La Grecia
quella volta si comportò con noi come una madre generosa e attenta.
Altro viaggio. Mia
figlia aveva 17 anni. Andammo a Kea, un’isola dell’Egeo. Lei trovò subito una
comitiva di ragazzi, parlavano in più lingue e si comprendevano a meraviglia.
Io me ne stavo tutto il giorno al sole o all’ombra dei platani a leggere e a
scrivere, quieta.
Qualche volta prendevo il fresco sulla terrazza di Tina, una signora milanese sposata con un medico greco, che aveva la casa più bella dell’isola, tutta arredata con mobili dipinti di azzurro e bianco. Lo spettacolo del tramonto sul mare ci toglieva ogni volta il fiato. La bellezza si materializzava in un pulviscolo dorato che ricopriva tutte le cose intorno e i nostri visi. E il silenzio era un dono, quasi una benedizione.
Qualche volta prendevo il fresco sulla terrazza di Tina, una signora milanese sposata con un medico greco, che aveva la casa più bella dell’isola, tutta arredata con mobili dipinti di azzurro e bianco. Lo spettacolo del tramonto sul mare ci toglieva ogni volta il fiato. La bellezza si materializzava in un pulviscolo dorato che ricopriva tutte le cose intorno e i nostri visi. E il silenzio era un dono, quasi una benedizione.
Venne il giorno
della partenza. L’alba era rosata e nitida di colori e di profumi. Dalla nave
vedemmo allontanarsi le case bianche come di zucchero filato, le piccole chiese
e i mulini a vento. Più in lontananza si vedevano le tombe del cimitero
ortodosso, suggestivo e quieto in mezzo agli ulivi secolari. Eravamo state
felici in quell’isola, due settimane.
Ultimo viaggio. Qualche
anno fa ho voluto visitare con un amico le isole dello Ionio. Cefalonia è stata
una sorpresa. Tutti parlavano italiano e ci facevano sentire ancora di più a
casa. Eravamo senza macchina e abbiamo fatto in quindici giorni più di 100 Km a piedi su sentieri
sterrati, bordati di salvia e rosmarino, che all’improvviso si aprivano su
paesaggi mozzafiato. C’erano
pochissimi turisti, il mare era puro e incontaminato, la vegetazione sontuosa,
con eucaliptus e cipressi dappertutto, fin quasi a entrare nell’acqua. Magica,
profumata e dolce Cefalonia.
Poi Itaca.
Appena più turistica, ma di un turismo rispettoso e consapevole. La bellezza portata agli estremi. Commovente di suggestioni e di richiami. Brulla e all’improvviso verde e poi turchese, assolata e ventosa, fresca di brezza sulla baia circolare come un lago, di Vathi, la splendida. Con al centro l’isolotto dove Byron si riposava dopo le sue nuotate. Una sera, al crepuscolo, ci siamo arrampicati fino a un vecchio monastero abitato da pochi monaci barbuti. Intorno, fra gli ulivi, si sentivano solo le capre e il vento. Dall’alto insenature e rocce e mare cristallino. Ho lasciato il cuore nella piccola chiesa bizantina con lunghe candele smilze affondate nella sabbia e una grande icona dell’Arcangelo Michele che mi sorrideva. Da quel giorno l’ho scelto come mio Angelo custode.
Appena più turistica, ma di un turismo rispettoso e consapevole. La bellezza portata agli estremi. Commovente di suggestioni e di richiami. Brulla e all’improvviso verde e poi turchese, assolata e ventosa, fresca di brezza sulla baia circolare come un lago, di Vathi, la splendida. Con al centro l’isolotto dove Byron si riposava dopo le sue nuotate. Una sera, al crepuscolo, ci siamo arrampicati fino a un vecchio monastero abitato da pochi monaci barbuti. Intorno, fra gli ulivi, si sentivano solo le capre e il vento. Dall’alto insenature e rocce e mare cristallino. Ho lasciato il cuore nella piccola chiesa bizantina con lunghe candele smilze affondate nella sabbia e una grande icona dell’Arcangelo Michele che mi sorrideva. Da quel giorno l’ho scelto come mio Angelo custode.
Era strano non
trovare più le dracme e pagare in euro. Ma i prezzi erano buoni, più contenuti
che da noi. E l’ambiente era pulito e protetto. Dappertutto pannelli solari e
impianti eolici. E fiori, soprattutto gelsomini e bouganvillee di un lillà pallido, mai viste prima di quel
colore. Un paradiso di rispetto per la
natura e le tradizioni.
Ma certo non
finisce qui. Ritornerò in Grecia. E’ la mia seconda patria. Mi ha visto ragazza
innamorata, donna giovane, e poi donna matura, che non esclude un giorno di
andare a vivere chissà, proprio a Itaca, in una piccola casa di pietra con le
finestre azzurre. E di invecchiare lì, in quel clima dolce, con quella luce che
ti protegge e ti riscalda, fra profumi e musiche che ti fanno sentire senza
età. E forse eterna. Senza più paura.
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